Parisi: la rottamazione non è fare fuori gli anziani, sbaglia chi pensa di rinnovare con manovre a tavolino

Parisi: la rottamazione non è fare fuori gli anziani, sbaglia chi pensa di rinnovare con manovre a tavolino
di Pietro Perone
Martedì 24 Novembre 2015, 08:17 - Ultimo agg. 08:29
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Tra i 45 fondatori del Pd, è considerato il «papà» delle primarie, ma l’ex ministro Arturo Parisi è perplesso rispetto a quanto sta accadendo nel Pd.

Si riaccende lo scontro: è giusto vietare la gara agli ex primi cittadini all’indomani dell’annuncio di Bassolino di volersi candidare sindaco di Napoli?

«Se non lo avesse preannunciato una dirigente autorevole come Debora Serracchiani non sarei riuscito a crederci. Al massimo l’avrei considerato un anonimo ”ballon d'essai”, liberato per saggiare la direzione del vento. Oltretutto appena l’altro giorno Lotti, che non è certo meno autorevole, col suo bel sorriso solare, aveva rassicurato non solo sullo svolgimento delle primarie, ma anche sul loro carattere aperto. ”Immagino che ci saranno anche altri candidati”, aveva detto. Ancora oggi, mentre ci parliamo, mi attendo dalla Direzione una correzione di tiro».

Ma la regola di cui si parla sarebbe giusta?

«Giusto è una parola grossa. Ne ho viste tante. Di certo è difficile da spiegare. Sarebbe meglio dire impossibile. Anche perché dovrebbe diventare una regola generale per tutti i tipi di uffici.

La verità è che le primarie come nuovo istituto della nostra democrazia sono ancora in fasce. Ad undici anni da quando nel 2004 le strappammo con Prodi al tavolo dei segretari dell'Ulivo, come mai riluttanti, debbono ancora dar prova di essersi affermate definitivamente. D’altra parte anche nella democrazia americana il loro cammino si misura in decenni».

Dopo avere criticato tanto le norme ad personam di Berlusconi non si corre il rischio di ripetere gli stessi errori, anche se in piccolo visto che parliamo di regole interne a un partito?

«Lasciamo da parte Berlusconi che è meglio per tutti. Quanto all’idea che si tratti di una cosa minore perché in fondo limitato a vicende di partito, lo so che è quello che pensano i più. Esattamente come capita per le tessere, le finte assemblee o i congressi a tavolino. Ma io la penso esattamente all'opposto: se un partito è una comunità che sperimenta al suo interno le regole, l’idea di democrazia che annuncia e propone per la vita di tutti, penso che le sue regole dovrebbero essere più rigorose, non meno, di quelle esterne. Altrimenti i partiti si riducono a mafie, ad un patto tra pochi, stretto in segreto per manipolare la partecipazione dell'insieme dei cittadini».

Il ritorno in campo dell'ex sindaco, poi ministro e governatore significherebbe per Renzi dovere dichiarare il fallimento della rottamazione?

«E perché mai? Per il solo fatto che si candida? Se rottamazione fosse solo far fuori gli anziani, grazie alla imposizione di regole ad hoc avrebbe di certo ragione. Ma, al di là del termine, infelice e allo stesso efficace, che Renzi propose al suo esordio a mo’ di squillo di tromba, non mi sembra che fu questo il senso della sua ascesa politica. La rottamazione dei vecchi fu infatti l'effetto della sua iniziativa non la sua causa. Non è con manovre a tavolino nel segreto di qualche stanza fumosa, che Renzi ha battuto la dirigenza precedente, ma alla luce del sole grazie al consenso dei cittadini e in una competizione trasparente come furono appunto le primarie di due anni fa. La sconfitta sarebbe semmai nella paura di perdere, e nella tentazione di cambiare le regole per impedire la gara».

Il ritorno di Bassolino è anche la prova che il cambio di classe dirigente nel Pd non si è mai compiuto?

«Completamente. Io non so che cosa spinga Bassolino in questa avventura. So però che la sua risposta ad una vocazione antica non può non essere contemporaneamente una pro-vocazione ai nuovi. Una sfida. Chi ha per il futuro di questa città un’idea diversa alzi la mano. La propria. Le confronteremo. Saranno i cittadini a decidere quale sia la migliore. Prima nelle primarie e poi nelle elezioni finali».

A Napoli, come a Milano o Roma, la dirigenza del Pd non ha candidati da proporre: vuoto di idee e di uomini?

«Un eccesso di concentrazione sul livello nazionale. L’esito di un'architettura di partito progettata peraltro sotto Veltroni, Un partito centrato sul solo segretario nazionale, l'unico destinato come leader e premier a ricoprire la responsabilità di governo corrispondente, come se da lui tutto derivasse a cascata. E adesso invece di utilizzare le primarie per sciogliere questo nodo, affidando alla base dei cittadini la scelta, vorrebbero caricare il vertice della responsabilità di tutte le scelte? Dimenticando oltretutto che, poiché il sistema locale è ancora fondato sulle coalizioni, quelle che vengono chiamate primarie del Pd possono vivere solo come primarie di coalizione».

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