Abbamonte accusa: «In Fondazione BancoNapoli c'è una lobby universitaria»

Abbamonte accusa: «In Fondazione BancoNapoli c'è una lobby universitaria»
di Valerio Iuliano
Lunedì 15 Ottobre 2018, 10:37
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«In Fondazione c'è una lobby universitaria, che punta a tenere l'ente nella sua sfera di influenza». È tranchant Orazio Abbamonte, consigliere generale in carica della Fondazione BancoNapoli. Un'opinione che arriva a poco più di un mese dalle elezioni per la presidenza dell'ente di Palazzo Ricca.

Professor Abbamonte, prima di pensare alle elezioni, però, il Consiglio dovrà approvare il Bilancio consuntivo 2017. Ha già letto il documento?
«Ci è già stata presentata una prima bozza di bilancio dal commissario governativo, che riproponeva il documento contabile della passata gestione. Abbiamo sollevato serie obiezioni, soprattutto grazie alla competenza della dottoressa Paliotto. Il Commissario ha approfondito, e pare che oggi ci parli di circa 10 milioni di perdite. Le mie conoscenze mi dicono che la valutazione è molto ottimistica».

Lei e gli altri consiglieri del suo schieramento avete spesso criticato aspramente gli investimenti passati. Li considera la causa delle attuali sofferenze?
«Beh, se un patrimonio si riduce così consistentemente, non è che lo si possa imputare al Buon Dio, ai cui comandamenti la Fondazione sembra essersi ispirata. Si tratta di scelte poco avvedute, a mio parere, che non risalgono solo alla gestione del Professor Marrama, ma anche ad una precedente gestione, che tra l'altro creò una concentrazione, a mio avviso molto rischiosa, di circa 30 milioni nella Banca Popolare di Bari (circa un quarto dell'intero patrimonio della Fondazione), non esattamente il più rassicurante dei recapiti per il danaro di un ente non speculativo».

Come è nata la candidatura della Paliotto?
«Le motivazioni sono semplici. Si tratta di un'imprenditrice da sempre impegnata nel sociale, che ha notevoli competenze gestionali, è al di fuori dell'ambiente che ha portato all'attuale situazione e conosce molto bene la  Fondazione. E glielo dico pur avendo avuto in passato posizioni lontane da lei. Inoltre, ma questo non mi tocca più di tanto, c'è anche una questione di genere: sarebbe la prima donna Presidente».
 
Sembra piuttosto probabile la candidatura di Guido Trombetti. Se dovesse realizzarsi, come la giudicherebbe?
«Male. È un anziano accademico, che in passato ha troppo ricercato cariche senza badare troppo alla coerenza. Posso dirgliela tutta?».

Faccia pure.
«L'ho capito solo ora. In Fondazione c'è una lobby universitaria. Tutti i precedenti presidenti erano professori. Anch'io lo sono e da tanti anni. Conosco quindi quegli habitus mentali. E da sempre li rifuggo. Perché sono fatti di logiche d'appartenenza, quanto di più medievale sia possibile immaginare. Prima di Trombetti, c'è stata la candidatura del Rettore dell'Università del Molise, Palmieri. Tramontata questa, è apparsa all'istante quella dell'ex Rettore napoletano. Che cosa significa? Che non conta chi l'assicuri, l'importante è che la Fondazione  nella sfera d'influenza dell'Accademia. Quando si trattava di combattere la gestione di Marrama, Palmieri si dimise dal Consiglio Generale ed il Trombetti (così come l'Accademia tutta) non ha profferito verbo. Ricorderà che non mancai più volte di lanciare appelli alle cosiddette élites e alla politica. Allora, silenzio assoluto. Ora che si tratta di creare il nuovo consiglio di amministrazione, vedo spirito di servizio a josa».

La gestione commissariale ha avuto effetti positivi sulla Fondazione?
«Il commissario ci ha ripresentato il bilancio della passata gestione, quella che avrebbe dovuto commissariare. Direi che non ho avvertito alcuna significativa differenza».

Ritiene che la Paliotto possa ottenere consensi anche al di fuori del vostro schieramento?
«Credo che la candidatura della Paliotto possa riscuotere il consenso dei consiglieri di buona fede. Una categoria più ampia di quanto si possa credere e che, fino ad oggi, ritengo non abbia avuto la possibilità di esprimersi pienamente. Ma non credo che ciò possa venire dal mondo accademico».

Lei ha evidenziato spesso lo scarso interesse delle istituzioni locali per i destini della Fondazione. Ne è ancora convinto?
«Ne sono profondamente convinto. Ma c'è un grande interesse, invece, per la gestione della Fondazione, che è una cosa assai diversa. Da storico del potere, un'esperienza interessantissima». 
 
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