Il ghetto di Napoli
​che non può durare

di Vittorio Del Tufo
Sabato 4 Agosto 2018, 11:23
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​Nessun esercizio di illusionismo può ormai nascondere o edulcorare una realtà che è sotto gli occhi di tutti: il pianeta Ferrovia è un immenso buco nero che ingoia degrado e rigurgita violenza. Un immenso tappeto di stracci e miseria. Ma anche - vorremmo essere smentiti, ma lo temiamo fortemente - un incubatore di tentazioni xenofobe che rischiano di sfuggire al controllo di chi dovrebbe impedirle. La Molembeek napoletana è un incubo metropolitano. Da Piazza Garibaldi alla Duchesca, dal Vasto a Porta Nolana, si è consentito che un’area vastissima della città diventasse una bomba igienico-sanitaria a cielo aperto, con i marciapiedi trasformati in un maleodorante suk di rifiuti, vestiti raccattati dai cassonetti e rivenduti per pochi spiccioli. Un bivacco di disperati, e tra loro tantissimi migranti, rifugiati, richiedenti asilo. Questa zona della città è perduta: non vi avanza alcuna idea di decoro, non vi alberga alcun progetto di riqualificazione degli spazi urbani. E non v’è controllo o posto di blocco che sembri impensierire i violenti, gli spacciatori, i balordi. È in questo clima che - razzismo o non razzismo, saranno le indagini a stabilirlo - è maturata l’aggressione di danni di Elhadji Diebel, 22 anni, venditore ambulante senegalese ferito a una gamba giovedì sera con un colpo di pistola da due sconosciuti.

Il Vasto sconta un peccato d’origine che si chiama disastro dell’accoglienza. È un disastro che chiama in causa le responsabilità delle amministrazioni presenti e passate, di una politica (di tutti i colori) che da anni ci racconta balle sulla bonifica di quel quartiere e sui progetti di integrazione degli extracomunitari. Si è consentito che il Vasto diventasse un’enclave, e che gli immigrati venissero concentrati tutti nella medesima zona, anche attraverso la riconversione di molti alberghi del quartiere, con il risultato che oggi quegli stessi immigrati trascorrono le giornate in un eterno bivacco sui marciapiedi e agli angoli delle strade, parcheggiati nei centri di accoglienza e lasciati allo sbando, senza alcun progetto di inclusione sociale. Un recentissimo report del comitato civico Orgoglio Vasto ha evidenziato come il 69% dei migranti presenti nel territorio di Napoli siano ospitati nella zona della Ferrovia: la cattiva gestione dell’accoglienza ha generato tensioni sociali e focolai di violenza anche liddove la malapianta del razzismo non aveva mai messo radici. Ma è in questo clima, in questa concentrazione scellerata e poco lungimirante, che l’intolleranza razziale - che cova sotto la cenere - rischia di esplodere, espandersi e dilagare. Sarebbe un grave errore non rendersene conto e, soprattutto, non correre ai ripari. In che modo? Redistribuendo sul territorio metropolitano la popolazione extracomunitaria, sventrando l’enclave del pianeta Ferrovia ormai trasformata in un ghetto, e approfittando dei nuovi bandi per l’accoglienza di secondo livello (Sprar) per dislocare gli immigrati su un territorio più vasto e con una forma di accoglienza integrata.

Le strade del Vasto, del pianeta Ferrovia, solo lastricate di promesse, di buone intenzioni e progetti di integrazione talmente fumosi da apparire evanescenti. È mancata una prospettiva, una visione (e una gestione) a lungo termine di una situazione che presenta da anni i crismi dell’emergenza e che adesso ha raggiunto un punto di non ritorno. Oggi più di ieri, proprio perché il vento del razzismo, dell’intolleranza, monta in tutto il Paese e sarebbe ingenuo pensare di poterlo respingere, o di restarne al riparo in eterno, senza muovere un passo per migliorare le condizioni di vita di quel quartiere. Gli anticorpi - all’insofferenza e al degrado che genera violenza - si producono anche con il decoro urbano, e con politiche di integrazione degne di questo nome. A meno che non ci si illuda che sia possibile contrastare i rigurgiti di xenofobia, o la violenza in qualunque modo si manifesti, con una spolverata in più di poliziotti e vigili urbani. Sarebbe un tragico errore pensarlo.
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