Il caso De Luca agita i Democratici: «Ora evitiamo veleni e polemiche»

Il caso De Luca agita i Democratici: «Ora evitiamo veleni e polemiche»
di Pietro Treccagnoli
Mercoledì 21 Febbraio 2018, 11:00
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Non è ancora il grande freddo, ma il grande imbarazzo sì. Le ultime pesanti uscite del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, hanno fatto storcere la bocca a tanti suoi compagni di partito, che però preferiscono essere diplomatici, almeno pubblicamente. Il governatore ha il suo carattere e il «suo stile» come ha spiegato il segretario dei democratici, Matteo Renzi. Il coinvolgimento del figlio Roberto, ormai assessore dimissionario al Bilancio del Comune di Salerno, e gli attacchi che sono arrivati dall'opposizione, hanno reso ancora più aspro «lo spirto guerrier che entro gli rugge» e i democrat, alle prese con una campagna elettorale che li costringe alla rincorsa, in particolare al Sud, fanno fatica a riportarlo a più miti consigli. È il carattere, e va bene. Ma c'è la battaglia delle urne in pieno svolgimento, nella quale corre pure l'altro figlio del presidente, Piero: all'uninominale proprio a Salerno e al proporzionale a Caserta.

La segretaria regionale campana, Assunta Tartaglione, anche lei alla ricerca di un seggio in Parlamento, ha finora rotto il silenzio solo per sottolineare le dimissioni di Roberto come «un gesto di serietà, che va a tutela del Partito Democratico e che consente allo stesso De Luca di difendersi nel modo migliore dalle accuse che gli vengono rivolte». Ovviamente, è seguita la massima fiducia nel lavoro della magistratura e l'invito in una fase delicata come la campagna elettorale a «restare uniti e anteporre sempre il bene del partito alle vicende dei singoli». Vicende dei singoli, è chiaro, perché De Luca senior nelle smisurate parole verso i giornalisti di Fanpage, che proseguono con la pubblicazione dei video dell'inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti, agisce più da padre che da presidente della Regione. Comprensibile umanamente, ma poco gestibile politicamente. Più a livello di immagine nazionale che locale, perché sotto il Garigliano c'è la consuetudine con i suoi scatti impulsivi, ma anche perché nei singoli collegi si prova a lavora su altro.
 
Più esplicito è stato su Facebook, il neoeletto presidente dell'assemblea provinciale del Pd, Tommaso Ederoclite, che, ribadendo le proprie posizioni garantiste, si è rivolto direttamente a De Luca padre, suggerendogli di mantenere il sangue freddo. Come se fosse semplice. «Lo so, è tuo carattere essere dirompente e uscire fuori dagli argini quando sei sotto attacco» scrive «del resto te lo hanno fatto spesso, come alle ultime regionali ti hanno bollato come impresentabile e, oltre ad avere vinto le elezioni, ne sei uscito pulito e indenne da tutto quello del quale ti accusavano». L'invito più netto è, però, a lasciar perdere le «boutade aggressive e fuori dalle righe» come quando definisce «camorristi» e «squadristi» i cronisti del giornale online: «Torna a fare l'uomo delle istituzioni, cercando di tenere il punto e di rispondere agli attacchi senza cadere nella lotta nel fango, anche perché sai come farlo» e di evitare di farsi trascinare in un dibattito «minato e inquinato» e «in un campo che politicamente e culturalmente non ci appartiene».

Sulla stessa linea il neosegretario provinciale del partito, Massimo Costa, che ama, per carattere, i toni pacati e diplomatici. «Il Pd non è rimasto in silenzio» precisa subito. «Si è solo voluto evitare di fomentare la polemica, soprattutto su una vicenda della quale non sono ancora noti i dettagli». Comunque, Costa non condivide le reazioni di De Luca: «Ha fatto dichiarazioni forti, ma all'interno di un discorso più ampio. Non si tratta di giustificarlo perché avrebbe potuto esprimersi con toni diversi, essere meno aggressivo». Ma è il clima generale che non convince Costa: «L'imbarbarimento è diffuso. Anche Luigi Di Maio ha usato un termine pesante come assassini. Credo che da parte di tutti sia necessario stare sui temi della campagna elettorale». Purtroppo, la direzione impressa porta in questi pantani.

Più loquaci le giovani leve del Pd, che in parte si sintonizzano su Ederoclite. C'è chi, come Marco Sarracino ex-segretario dei Giovani Democratici e portavoce del ministro Andrea Orlando, censura il governatore definendo i suoi «toni inaccettabili e provocatori». Chi, come Federico Arienzo, capogruppo Pd al Comune di Napoli, gli ricorda che «non si chiamano squadristi i giornalisti che fanno un'inchiesta». Ma anche chi, come Michele Grimaldi, ex-segretario Gd e adesso segretario del Pd a Scafati, stigmatizza i toni aggressivi, ma ricorda che «il titolo di Fanpage è fuorviante perché associa Roberto De Luca a una tangente di cui lui non parla». A difesa dell'ex-assessore scende Federica Fortino, segretaria salernitana del Pd: «Bisognerebbe mostrare la verità più che montare tutto ad hoc per far vedere solo gli aspetti negativi».

E De Luca Vincenzo? Ieri ha osservato una giornata di quaresima verbale. Sulla sua pagina Facebook si è limitato a postare un video preso da YouTube. Un brano molto emblematico, però. Chi vuol capire capisce: «The Partisan» di Leonard Cohen. Accompagnato da poche parole che riescono contemporaneamente a trasmettere orgoglio e a far presagire nuovi fronti: «Campania a testa alta. Una nuova Resistenza... giovedì nuovo videomessaggio». Ma non è detto che resisterà fino a domani. Da Palazzo Santa Lucia fanno intendere che sulla vicende di Roberto non ci passa e non ci passerà. È colpito soprattutto emotivamente e sa bene che l'obiettivo non è il figlio, ma lui stesso, messo alla gogna su temi politici che lui ha sempre sventolato come proprie bandiere: la moralità e la trasparenza. Adesso ha due obiettivi: proteggere la famiglia e difendersi come amministratore pubblico. Di che cosa possa agitare il Pd campano sembra non importarsene per nulla. È davvero l'ultimo dei suoi pensieri.

Ma l'imbarazzo del Pd c'è. Basta osservare, durante gli incontri pubblici, i volti dei fedelissimi del Presidente o degli uomini che pendono dalle sue labbra: sguardi bassi, parole d'ordine ripetute meccanicamente, risposte formali. Nessuno esce allo scoperto per vestire i panni del moralizzatore, cosciente che già prima dell'esplosione del caso rifiuti la corsa per il Parlamento era tutta in salita. Il segretario Renzi, quando è venuto a Napoli, è andato nella redazione di Fanpage a rivendicare garantismo per tutti (anche i giornalisti online sono indagati), ma s'è tenuto lontano dal palazzo della Regione che è proprio lì a due passi. Nessun selfie che li mettesse fianco a fianco. Questioni di stile, ma anche di prudenza.

I democrat insistono a riportare tutto nel solco della competizione. Pancia a terra e nervi saldi, ripetono, a cominciare chi sta facendo casa per casa nei collegi. Sebbene un ragionamento sulla tempistica dell'inchiesta andrebbe fatto, chiedono, ma a denti stretti, giusto per non farsi etichettare come complottisti. La polemica, con i toni virulenti che sono emersi, è sconveniente, spiega chi si sente disturbato nella propria campagna dalla necessità di rintuzzare un clima inquinato, perché fa rimbalzare la notizia come una biglia impazzita. «Roberto si è dimesso» ripetono. «Adesso basta, il Presidente stia zitto, solo così può davvero dare una mano al partito».
 
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