De Magistris-Saviano, screzi tra il Caudillo
e l'Esule: storia di un amore mai sbocciato

De Magistris-Saviano, screzi tra il Caudillo e l'Esule: storia di un amore mai sbocciato
di Francesco Durante
Sabato 7 Gennaio 2017, 09:51
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Anche se ieri il livello dello scontro ha toccato un'intensità mai raggiunta prima, sono comunque almeno cinque anni che Roberto Saviano e Luigi de Magistris se le suonano di santa ragione. «Masanielli contro», li aveva definiti a suo tempo Dagospia, cogliendo una caratteristica non marginale del duello. Sia lo scrittore sia il sindaco hanno infatti una spiccata propensione a proporsi come ammaestratori di folle, «campioni» sul terreno comune della legalità. Era forse inevitabile, dunque, che finissero in rotta di collisione, giacché sulla legalità la partita che si gioca è diversa a seconda del ruolo che si ricopre. Fino a che il sindaco non era sindaco, era per lui naturale e quasi automatico sentirsi vicino a Saviano, e viceversa. Da quando il sindaco è nel pieno delle sue funzioni, il discorso è cambiato; e, da alleato naturale che era, lo scrittore si è trasformato in insidioso obiettore. Il che raddoppia l'insofferenza del sindaco, e la allinea a quella manifestata negli ultimi anni della sua amministrazione da Rosa Russo Iervolino («Scampia non è solo Gomorra, così come Napoli non è solo Gomorra»: giugno 2008).

In teoria e in partenza, dunque, fra uno come l'ex magistrato De Magistris e uno come lo scrittore-coraggio Saviano doveva esserci (e ci fu, affidata alla prima pagina di «Repubblica») perfetta identità di vedute. In seguito, però, De Magistris, che ogni secondo giorno celebra la diversità della sua giunta - la prima che abbia lasciato i mercanti fuori dal tempio e «tagliato l'ossigeno tra la camorra e la politica» - non può tollerare che proprio Saviano gli dica, in buona sostanza, che è uguale a tutti gli altri. L'altro aspetto importante è legato al progressivo dispiegarsi degli opposti schieramenti che fanno capo alle due personalità in conflitto. De Magistris può contare sul popolo arancione, altrettanto stanco delle sortite di Saviano. Dalla sua parte stanno inoltre alcuni storici antipatizzanti dell'autore di «Gomorra», spesso politicamente assai distanti da DeMa ma convergenti per l'occasione. Contro il sindaco, e platealmente dalla parte di Saviano, ecco invece alcune personalità già di fiducia, come l'ex assessore Riccardo Realfonzo. Il tutto, poi, può proiettarsi a un livello mediatico piuttosto esasperato: nel novembre 2014, per dire, diversi osservatori notarono come la concorrenza tra Giovanni Floris, conduttore di «Di Martedì», e Massimo Giannini, conduttore di «Ballarò», si giocasse anche per interposta persona, e cioè con Saviano nello studio di Giannini e de Magistris in quello di Floris.

Qualcosa di più d'un preannuncio di futuri screzi c'era già stato nel dicembre 2012, allorché Saviano scrisse a De Magistris per dirgli che la sua amministrazione non aveva avviato «nessun percorso di riforma», e che era «inutile accusare Roma di inefficienza» visto che «non ci sono state idee nuove». Le parole più dure erano però altre: «Possibile che non si abbia il coraggio e l'onestà di ammettere che se a Napoli non si affronta davvero la questione Scampia non ci sarà mai reale rinascita? Possibile che ci si accontenti sempre e solo di dare di Napoli l'immagine-cartolina che ormai puzza di falso e alla quale nessuno riesce più a credere?». La replica del sindaco non si fece attendere. A Saviano disse: «Perché non vieni a Napoli? Perché non ti metti a disposizione della squadra? Perché non lavori con noi? () Va bene andare da Fazio, va bene scrivere gli editoriali su Repubblica, ma Napoli bisogna viverla». Si era a poche settimane dal voto delle politiche, e de Magistris rilevò una tempistica sospetta nella «crociata unilaterale» di Saviano. Come dire: stai facendo il gioco di qualcun altro. Anche a questo Saviano ribatté, dicendo in sostanza al sindaco che stava divagando.

Possiamo tuttavia dire che il nervosismo tra Saviano e De Magistris è soprattutto coevo all'avvio delle riprese della serie tv «Gomorra». Ai primi di gennaio del 2013, dopo il rifiuto alle riprese da parte del presidente della Municipalità di Scampia, il sindaco affermò che, al massimo, si sarebbe potuto accettare da parte di Sky un pagamento da devolvere alle associazioni sul territorio. Saviano reagì parlando di censura e ritorse le accuse, spiegando al sindaco come anche grazie al racconto filmico Scampia potesse riscattarsi.

Sul tasto «Saviano non vive a Napoli» sottinteso «ergo parla di cose che non conosce spacciando per Napoli la sua solita Gomorra» il sindaco tornerà a battere spesso. Per esempio a Uno Mattina, settembre 2015, nel periodo in cui, sui giornali, si parlava della «paranza dei bambini». Saviano replicò duro: «Non è facile governare Napoli ed è evidente che non è un compito alla portata di de Magistris». Secondo lo scrittore era il sindaco a ignorare la realtà, a parlare solo delle cifre mirabolanti del turismo e a non vedere quel che stava sotto il suo naso: «Le persone hanno paura di uscire di casa, si spara ovunque e lui chiede a noi di tacere e, ancora una volta, di raccontare il bello? Da Napoli il bello è fuggito. Ha lasciato il posto alla paura perché si spara e non per colpire, ma per terrorizzare».
Il 2016, infine, è stato un anno di guerra guerreggiata. In giugno, gli argomenti di DeMa vengono ripresi dal produttore Gaetano Di Vaio. È lui a rivolgersi a Saviano per dirgli: «Tu sei lontanissimo dalla realtà napoletana» e «non hai minimamente la cognizione di quello che è accaduto qui negli ultimi anni». E in ottobre, a Radio 24, il sindaco tornerà a insistere sul punto: «Credo che Saviano abbia un po' perso il rapporto con la città. Dovrebbe venirci più spesso», per vedere «un'antimafia sociale di fatto». Sta per uscire il nuovo libro dello scrittore «La paranza dei bambini», appunto e il sindaco dice che quella descritta nel libro «è una visione non corretta della realtà partenopea». Un mese dopo, mentre a «Di Martedì» parla del suo libro, riecco Saviano: «Negare che a Napoli ci sia la guerra (...) significa negare la realtà». Dose rincarata su facebook: «Voi che siete sempre pronti a dire che di Napoli bisogna parlare solo bene, spiegatemi perché gli abitanti dei quartieri più esposti a stese e agguati non devono avere alcuna garanzia di sicurezza. A me viene il dubbio che i protezionisti, quelli che Napoli è bella, parla del sole' siano il vero male di questa città». Con una chiosa beffarda: «Altro che Napoli Nazione, altro che Napoli città autonoma» (espressione non a caso «rubata» alla retorica del sindaco). Si arriva così a pochi giorni dal Natale scorso. Saviano nega che le piazze siano state sottratte allo spaccio diventando piazze della legalità: «È una menzogna populista, è una cosa tipica da caudillo confondere il proclama con la realizzazione».  Il sindaco risponde nei soliti termini: «Conoscere la realtà non è leggere il giornale, ma stare per strada 24 ore come facciamo noi. Prendetelo per mano e fategli vivere la città con tutte le contraddizioni. Io non ho mai negato che c'è la camorra. Ma come si fa a non riconoscere che la città è viva e vitale?».

Arriviamo così a ieri, quando gli stracci sono volati più in alto che mai. Così ora abbiamo un Caudillo Rivoluzionario convinto che il suo competitore dica quello che dice al solo scopo di fare i propri interessi; e un Corrucciato Esule che non vuole arretrare nemmeno di un millimetro. Una guerra di opposti unilateralismi che, comunque la si giudichi e qualsiasi partito si prenda, non dovrebbe servire a granché.