Napoli, incubo shutdown: tasse al massimo, servizi ridotti e licenziamenti

Napoli, incubo shutdown: tasse al massimo, servizi ridotti e licenziamenti
di Paolo Barbuto
Venerdì 9 Marzo 2018, 06:56 - Ultimo agg. 14:11
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Tasse al massimo previsto dalla legge, servizi cancellati, personale licenziato, patrimonio immobiliare venduto. La via crucis di un Comune che finisce nel baratro del dissesto è lunghissima, dura almeno cinque anni, e dolorosa per chi ha la residenza in quel territorio.
 


Ogni dettaglio è previsto dal Tuel, il testo unico che racchiude tutte le norme per gli enti locali; ogni minimo particolare viene stabilito con puntualità, perché quando un Comune finisce al fallimento, non si può lasciare nulla al caso. Eppure perfino quel testo prevede che un default venga individuato direttamente dagli amministratori: viene considerata remota la possibilità che sia la Corte dei Conti a mettere sindaco, giunta e consiglieri di fronte a un ineludibile stato di fatto. Ma se proprio dovesse esserci incapacità a comprendere l'avvenuto fallimento, scatta immediata la nomina di un commissario ad acta che si occupa esclusivamente di dichiarare lo stato di dissesto a nome del Comune.

Subito interviene il Presidente della Repubblica che, su proposta del Ministero dell'Interno, nomina un organo straordinario di liquidazione. In quel preciso momento si determina una frattura tra il passato di debiti e il presente di nuova vita del Comune. Il pool nominato dal Quirinale si occupa delle procedure per sanare i contenziosi economici, si prende in carico anche gli eventuali crediti e la cassa disponibile, così l'amministrazione può ripartire da zero, senza debiti ma senza un euro in cassa, e deve rispettare precise regole.
 
Innanzitutto bisogna iniziare a reperire il denaro necessario ad andare avanti: lo Stato si impegna ad accollarsi un mutuo ventennale per fornire le basi della rinascita, ma anche la città deve contribuire. Anzi contribuiranno tutti gli abitanti, uno ad uno, ai quali verrà subito imposto un aumento di ogni singola tassa o tributo fino a raggiungere il livello più alto consentito dalle leggi. Niente sconti né possibilità di abbassamenti per i successivi cinque anni: dalla popolazione va spremuto il massimo nel più breve tempo possibile, anche se in cambio si offriranno servizi inesistenti. In particolare le norme prevedono due interventi ai quali non è possibile derogare: il primo riguarda la raccolta dei rifiuti che dovrà essere coperta per intero dalle tasse: pagheranno solo i cittadini, nemmeno un euro deve venire fuori dalle casse dell'amministrazione locale per liberare la città dal pattume. 

Severissime le norme anche sull'acqua pubblica per la quale il contributo dei cittadini non potrà essere inferiore all'80% dell'intero costo di gestione dell'attività. Ovviamente si considera «annullato» ogni servizio al cittadino ritenuto non indispensabile mentre per quelli fondamentali il singolo utente viene chiamato ad accollarsi al minimo il 36% della spesa prevista. Su questo fronte c'è ampia discussione: l'asilo nido è «fondamentale» o non lo è? Il trasporto locale resta pubblico o va a finire nelle mani dei privati?

A finire sul mercato, in vendita al miglior offerente, sicuramente finisce tutto il patrimonio immobiliare, lo stabiliscono le norme. L'Amministrazione può conservare solo gli immobili considerati «funzionali» alle proprie attività, ogni altra «pietra» va messa sul mercato per fare cassa e avviare l'Ente verso una nuova vita senza più debiti e con tanti euro da gestire oculatamente.

Ma la cittadinanza non paga solo in termini economici: i dettami sui Comuni in default sono drastici anche sul fronte del personale. Bisogna tagliare i costi fino ad arrivare a un massimo del 50%, e attenersi a una percentuale fra dipendenti e popolazione che viene aggiornata costantemente dal Ministero dell'Interno con un decreto. L'ultimo, pubblicato in Gazzetta ufficiale poco meno di un anno fa, ammette per le città con più di 500mila abitanti il rapporto di «1 dipendente comunale ogni 84 abitanti». Alla città di Napoli, ad esempio, spetterebbero quasi 12mila dipendenti comunali. Il fatto è che qui, fra gli assunti diretti di palazzo San Giacomo e quelli delle Partecipate, ci sono circa 18mila dipendenti: se malauguratamente dovesse verificarsi il terremoto-default, circa seimila persone si ritroverebbero, senza un lavoro. La norma prevede che il personale in eccesso, venga messo «in disponibilità» cioè pronto ad essere spostato presso un altro ente pubblico e, comunque, per un periodo di cinque anni lo Stato si accolla il pagamento del salario-base.

Nel frattempo la commissione che si occupa della gestione del debito pregresso fa partire le procedure ufficiali nel tentativo di saldare il passivo. Il piano prevede scadenza quinquennale ma può anche essere prolungato in caso di difficoltà.
Ma cosa accade agli amministratori che vengono riconosciuti responsabili del default? Scatta, immediatamente, il procedimento ufficiale della Corte dei Conti che chiede ragione e risarcimenti ad ognuno dei responsabili e può anche comminare sanzioni pecuniarie fino a venti volte la retribuzione percepita al momento della violazione. È prevista anche l'interdizione dai pubblici uffici per dieci anni.

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