Totò, che non appartiene a nessuno ma è di tutti

Totò, che non appartiene a nessuno ma è di tutti
di Giuseppe Montesano
Venerdì 14 Aprile 2017, 09:16 - Ultimo agg. 15 Aprile, 00:03
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Qualcuno ha scritto che il filosofo Nietzsche ha detto tutto e il contrario di tutto: noi possiamo dire senza errore che su Totò è stato detto tutto e il contrario di tutto. E allora chi ha ragione? La sorpresa è che hanno tutti ragione: ha ragione il professore universitario che lo studia e il barista sotto casa mia che dichiara di vedere almeno due film di Totò alla settimana; ha ragione Fofi che dice che Totò piaceva agli italiani poveri perché parlava di fame e ha ragione chi ricorda che Totò piaceva allo scrittore Flaiano perché straparlava come un surrealista; ha ragione il maresciallo in pensione che rideva a vedere Totò all’Inferno e ha ragione Pasolini che voleva un Totò poeta lunare; ha ragione chi ha scritto che Totò sarebbe stato adatto con Peppino a recitare Aristofane in inglese e ha ragione chi dice che l’Uomo della Sanità alias la Maschera di Napoli appartiene a Napoli: abbiamo ragione tutti. 

Con questo giornale domani uscirà un inserto dedicato al Principe dei Grandi Guitti, e alcuni dei suoi colleghi di ieri e di oggi scriveranno di quello che devono a Totò, e tra loro ci saranno per citarne alcuni l’ultra-pop Greggio e il grande Luigi De Filippo, l’italo-americano Turturro e il trasformista Salemme, lo show-man televisivo Arbore e comici Totòfili e Peppinofili come Ficarra e Picone, la pasionaria Lella Costa e il sottile Verdone, l’attore-scrittore Paolantoni, e davvero si direbbe che nessuno tra loro somigli all’altro in niente o quasi: eppure tutti renderanno omaggio al Principe. Ma quanti altri potrebbero farlo? L’elenco probabilmente sarebbe senza fine, e includerebbe anche degli insospettabili: perché Totò si è disciolto come un sale nell’acqua cinematografica e teatrale e letteraria italiana dell’ultimo mezzo secolo, un sale senza il quale molte cose sarebbero incomprensibili. Totò non lascia eredi, perché appartiene a un tempo che è solo suo, ma lascia molti alunni. Era capace di passare da un comico ciarliero e aggressivo a una gentile risata malinconica, sapeva trasformare in frattaglie linguistiche l’italiano perbenistico e burocratico di un’Italia che sembra non morire mai, ma sapeva anche non dire nessuna parola e giocare con le smorfie e i dinoccolii dei mimi che fanno del corpo una seconda voce: poteva salire a toccare le corde profondamente umane della «Livella» e poteva scendere fino all’ipogeo della scemenza più totale, ma in lui le corde profondamente umane si tingevano di sotterranea ironia e la scemenza totale diventava filosofia metafisica. 
Non appartiene a nessuno, Totò, ma è di tutti: forse mai a nessun comico italiano è toccata la grazia di far ridere i bambini e gli intellettuali, le cameriere dei signori e i signori, le professoresse di matematica innamorate della bocciatura e gli ultimi della classe bocciati senza remissione, in una sorta di mescolanza che livellava alto e basso in un solo popolo, una sola comunità di ridenti sugli altri e su se stessi.

La grande differenza fra Totò e i grandi attori del cinema italiano del dopoguerra sta nel fatto che di molti dei grandi ci si ricorda solo nelle celebrazioni, in programmi da storia del cinema a tarda ora o per spezzoni inseriti in documentari, mentre i film e i filmetti e i filmacci di Totò non sono mai usciti dalle programmazioni televisive, e sono sopravvissuti persino quando Totò era considerato «vecchio», perché quei film erano alimentati dalle risate di un pubblico senza classi e senza confini.

Con la vitalità di una salamandra capace di presentarsi da aristocratico in frac e occhialetto e di fare il magliaro assoluto, di sputacchiare addosso ai politici e di sbavare come un teschio su donne carnose, di essere pazzo terrorizzando tutti e di godersi la vita come nessuno, di ballare da analfabeta affamato e di deprimersi da detenuto non esemplare, Totò ha fecondato con i suoi giochetti di parole e le sue storpiature ghignanti la lingua asfittica di un cinema e di un Paese che non era mai alla sua altezza ma che allo stesso tempo gli permetteva di affacciarsi da un palcoscenico sul quale fingendo di fare smorfie faceva balenare la speranza che il potere degli onorevoli Trombetta può essere mandato al macero ridendo. 

Ed è a quella salamandra che passava dallo sghignazzo alla tristezza come se la vita fosse una capriola, è a quella maschera vivente che non aveva bisogno di altre maschere per essere se stessa, è al sapiente e innocente Totò di tutti e di nessuno che rendiamo omaggio.
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