Napoli, il festival di “Imbavagliati” tra la strage di Barcellona e la jihad

Napoli, il festival di “Imbavagliati” tra la strage di Barcellona e la jihad
Giovedì 21 Settembre 2017, 20:01
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Al via la seconda giornata di “Imbavagliati”, Festival Internazionale di Giornalismo Civile, ideato e diretto da Désirée Klain, al Palazzo delle Arti di Napoli, luogo che custodisce la Mehari di Giancarlo Siani, simbolo dell’iniziativa, sostenuta anche quest’anno da Roberto Saviano, che dà voce ai giornalisti perseguitati nei loro paesi. L’incontro «Dagli attentati a Barcellona, alla jihad nel Maghreb: censure e inchieste tra le due sponde del Mediterraneo», che si è svolto oggi alle 10 nella sala Pan, ha visto la partecipazione di Ignacio Cembrero, ex giornalista di El Pais ed uno dei maggiori specialisti della questione maghrebina, di Fatima Mahfud, rappresentante del Fronte Polisario in Italia, del direttore del Corriere del Mezzogiorno Enzo d’Errico, del giornalista Marco Cesario, specialista del Mediterraneo e del Medio Oriente per diverse testate italiane e del disegnatore Fabio Magniasciutti.

Cembrero, uno dei maggiori specialisti della questione maghrebina e per trent’anni corrispondente per il quotidiano spagnolo El Paìs, è stato costretto a licenziarsi a seguito della pubblicazione sul suo blog del primo video di Al Qaeda in Marocco che gli ha procurato molti guai anche in patria.

«Tre mesi dopo la pubblicazione del video - ha raccontato Cembrero - il governo marocchino mi ha denunciato per apologia del terrorismo alla Procura Generale dello Stato, che dopo cinque mesi e mezzo ha respinto la denuncia. Il Governo mi ha poi fatto causa in sede penale, e anche per la seconda volta i giudici hanno considerato la denuncia priva di fondamento. La parte più dura e sgradevole è stato quello che è successo all’interno del giornale. Dopo un mese la direzione del giornale mi ha chiesto di lasciare il posto e di non scrivere più sul Marocco. Mi hanno dato tre giorni di tempo per scegliere se andare in un'altra redazione de El Pais: praticamente avrei potuto fare tutto eccetto scrivere sul Nord Africa. Il giornale aveva paura dello scandalo e alla fine siamo arrivati a un accordo. Non lo posso esattamente provare, ma sono convinto che la direzione del gruppo editoriale del Paìs ha subito pressioni dal governo spagnolo per farmi cambiare lavoro. Venti anni fa non sarebbe successo, ma la stampa spagnola attraversa una doppia crisi: quella che attraversano tutti i giornali, e l’altra che riguarda la lunga crisi economica. Dunque la stampa convenzionale è molto debole e ha bisogno di aiuti pubblici. Perchè il governo spagnolo ha ceduto al Marocco? - si è chiesto retoricamente Cembrero - perchè la Spagna ha bisogno del Marocco per la cooperazione contro il terrorismo e la lotta contro l’immigrazione clandestina o irregolare, proprio come l’Italia ha bisogno della Libia».

Sull’attentato a Barcellona Cembrero ha ricordato il periodo di pace che ha vissuto la Spagna prima di questo grande attentato: «La Spagna ha avuto un periodo di pace durata tredici anni - ha spiegato Cembrero - questo a causa dell’iperattività della polizia spagnola. In Spagna, inoltre, l’emigrazione musulmana è arrivata più tardi che negli altri paesi europei. Abbiamo poche seconde generazioni di migranti e nessuna terza generazione e sappiamo che i problemi di radicalizzazione non esistono mai con la prima generazione, il problema è con le generazioni successive. L’attentato a Madrid è stato un colpo duro. I terroristi erano tutti giovani apparentemente integrati, avevano un lavoro (anche se non fisso), non vivevano in un ghetto, si sono radicalizzati e sono stati indottrinati da un imam, reduce da 4 anni di prigione».

Necessario dunque, per Cembrero, una cooperazione per abbattere il terrorismo. «Dal punto di vista religioso si può lottare contro il terrorismo, quello che si può fare in Europa, per gli stati laici o aconfessionali (come la Spagna), è aiutare i musulmani in Europa a costruire valori più compatibili ma soprattutto cercare l’emancipazione dai paesi del golfo i quali esportano un Islam pericoloso, ovvero l’Islam salafita. Bisogna lottare fino a un certo punto l’immigrazione irregolare ma permettere im maniera legale l’immigrazione è soprattutto un’opportunità. L’Europa ha bisogno di migranti, non c’è una popolazione giovane nel nostro paese».

Sulla questione catalana, Cembrero ha sottolineato l’aspetto dello scontro attuale tra il governo regionale della Catalogna ed il governo nazionale spagnolo. «I partiti nazionalisti catalani spingono per indurre un referendum per l’autodeterminazione per staccare la Catalogna dalla Spagna e fondare una repubblica indipendente. È una richiesta che dura da cinque anni, ma occorre dire che la costituzione spagnola non prevede questo tipo di referendum e solo il governo centrale di Madrid potrebbe eventualmente indirlo. E’ la seconda volta che questi partiti cercano di organizzare questo referendum, la prima volta fu nel 2014. All’epoca si trattava di una specie di gioco, di una prova di forza. Oggi però questo progetto è serio e lo stato spagnolo ha deciso di impedirlo. Ora non credo si riuscirà a mantenere la data del primo ottobre per il referendum ed entreremo in un lungo periodo di forte tensione tra governo di Madrid e governo regionale catalano il quale ha l’appoggio di una buona parte della popolazione catalana ma non di tutta».  
 

D’Errico, direttore del Corriere del mezzogiorno, ha parlato di censura come un infallibile metodo che il potere adotta da sempre in forme più o meno forti a seconda delle zone del mondo. «Il potere è scaltro e furbo - ha spiegato d’Errico - elabora forme raffinate di controllo. Nel mondo occidentale oggi più che di censura nel senso tradizionale dobbiamo focalizzare l’attenzione su un altro fenomeno, forse più subdolo, che è la disinformazione, la quale condiziona gli equilibri politici. Un esempio, le fake news, che vengono rilanciate attraverso reti nate appositamente. Non si è liberi quando si naviga in rete, perché sono gli algoritmi a dettare la nostra navigazione. Questo crea conformismo, mancanza di dialettica e opinioni che vengono messe in discussione e questa è una forma di controllo che il potere esercita sull’informazione nel mondo occidentale, il quale si ritiene immune da quello che accade nei paesi meno evoluti. Da noi è a rischio l’intelligenza e la capacità critica. Il giornalismo vive un periodo di crisi ma anche di opportunità. Deve saper infatti conciliare l’avvento delle nuove tecnologie con l’informazione trovando nuovi equilibri».

Fatima Mahfud, rappresentante del fronte Polisario in Italia, ha invece ricordato le sorti del popolo Saharawi che vive nel Sahara occidentale. «Attendiamo da più di 26 anni un referendum di autodeterminazione - ha ricordato Fatima Mahfud - dove finalmente i Saharawi possano decidere se vogliono essere un paese indipendente o parte integrante del Marocco. C’è una missione ONU che dovrebbe organizzare questo referendum ma non c’è volontà politica. Il popolo è diviso in due parti: quelli che vivono nei territori occupati dal Marocco sotto occupazione, ai quali sono negati i diritti fondamentali, e quelli che vivono negli accampamenti rifugiati grazie agli aiuti umanitari. Quest’ultimi sono gli unici a reagire e ed investire sulla popolazione, siamo una repubblica in esilio ma in una condizione assolutamente precaria. La nostra causa è giusta soprattutto per l’impegno e la tenacia del popolo Saharawi che ha deciso di non usare la violenza come mezzo di risoluzione del conflitto ma di investire sulla pace che mi auguro prima o poi arrivi». 
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