Morto La Capria, Piccolo: «Siamo tutti figli di “Ferito a morte”, ha cambiato il racconto di Napoli»

Morto La Capria, Piccolo: «Siamo tutti figli di “Ferito a morte”, ha cambiato il racconto di Napoli»
di Generoso Picone
Mercoledì 29 Giugno 2022, 06:58
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«Tutti noi siamo figli di Ferito a morte, dice Francesco Piccolo, ieri mattina uno dei primi a rendere omaggio a La Capria nella camera ardente allestita nella sua abitazione romana. «In quell’appartamento ho avuto la sensazione che il tempo si fosse fermato», racconta il narratore di Momenti trascurabili ora alle prese con il nuovo romanzo, lo sceneggiatore al lavoro con la prossima e ultima serie di «L’amica geniale», l’autore televisivo di numerosi programmi: «La libreria con i Meridiani Mondadori allineati, la sua poltrona preferita, gli spazi uguali: era tutto come più di vent’anni fa, quando ero editor a Minimum Fax e andavo a trovarlo per la correzione delle bozze dei libri che pubblicò con noi. Eravamo una piccola casa, anche questa una prova della sua disponibilità”. 

Piccolo, Raffaele La Capria che atteggiamento aveva nei confronti degli scrittori napoletani dell’ultima diaspora romana?
«Aveva attenzione e cura.

Penso che fosse molto contento di quello che noi pensavamo di lui. Perché noi tutti siamo figli del suo Ferito a morte, un libro che costituisce uno spartiacque nel rapporto con la questione Napoli e che ci ha aperto una possibilità inedita di tradurlo in termini letterari. Lui malcelava quest’orgoglio, quasi a ritrarsi in una dimensione di scrittore minore: era parte della sua straordinaria grandezza, però. La Capria è stato un autentico protagonista della stagione letteraria, italiana, nell’epoca di Moravia, Flaiano, Pasolini. Eppure non ha mai ostentato un tale ruolo. Preferiva distaccarsi da quell’ambiente e dai discorsi che lì si facevano, non perché non fosse riconosciuta la qualità della sua presenza. Anzi. Il fatto era che amava coltivare l’amicizia nella sua misura, non soltanto verso di noi, in qualche modo legati a Napoli, ma pure con narratori come Veronesi o Albinati. Per chiunque si è rivelato un maestro».

Per aver elaborato un punto di vista sulla realtà che non fosse mosso da ragioni puramente estetiche ma soprattutto conoscitive? 
«Certamente. E per esserci riuscito osservando un luogo che pareva completamente immerso nell’estetica consumata dello stereotipo. Cioè Napoli. Ha indicato come si potesse raccontare la città in un modo completamente diverso, con un una cifra letteraria che produceva conoscenza e mostrando che liberandolo dalla napoletaneria potesse diventare parte del mondo, senza esaurirlo in se stessa, ma per essere al contrario una metafora capace di comprenderlo. Un risultato eccezionale, se si pensa che La Capria continuava ad avere tutte le caratteristiche del napoletano, del napoletano soprattutto borghese nel profilo in cui si può immaginarlo, dalla cadenza del parlato agli atteggiamenti ordinari. Era un napoletano autentico che proprio in ragione di ciò ribaltava lo schema del personaggio».

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Capace di quella che Calvino definiva la leggerezza pensosa, contrapposta alla leggerezza superficiale?
«Ecco, se devo indicare qualcosa che mi accomuna a lui è proprio la leggerezza pensosa. Questa sua virtù mi ha fatto perdere il pudore che mi tratteneva dal mostrare la mia leggerezza, la superficialità profonda a cui tendo ancora. Penso ai suoi miti, alla Bella giornata, all’Armonia perduta, al Tuffo: intorno a questi ha costruito una leggenda di felicità leggera che era attraversata da una straordinaria malinconia. Quelli dei leoni al sole, dei vitelloni in costiera che scommettevano su quante bollicine avesse un calice di Pommery rispetto a un altro di Veuve Clicquot, quelli che andavano via e quelli che rimanevano. Ha declinato tutto ciò in una epica della superficialità che, in realtà, è la vita».

Utilizzando la filosofia della ricerca del senso comune, ulteriore elemento fondante della sua pagina.
«Un po’ come Moravia. Ma a differenza di lui, narratore puro, La Capria ha analizzato il concetto con la lucidità estrema della sua pagina saggistica: elegante nell’acutezza e ricca nei riferimenti, seguendo la trama dell’only connect di Edward Morgan Forster e tenendo il tutto con una lingua alla Parise: semplice per dire cose complesse. Così è stato in grado di proporre un canone».

Il canone letterario La Capria?
«Al quale si alimentano in tanti. Specie nel maneggiare l’oggetto Napoli».

In che senso? La Capria negli ultimi tempi affermava che bisognava smettere di parlarne.
«Si riferisce all’abuso degli stereotipi. Ma in verità se di Napoli ormai si parla in maniera diversa, se una generazione di intellettuali - da Ramondino a Martone, da Starnone a Ferrante - l’ha rappresentata con un codice opposto, questo si deve a lui. A La Capria, ineguagliabile napoletano che non ha mai smesso di ripensarsi e fino alla fine ha vestito l’abito di chi si sentiva totalmente legato alla città. Tutto ciò è commovente». 
 

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