Mimmo Jodice: «Metto in vendita le mie foto per il rione Sanità di Napoli»

Mimmo Jodice: «Metto in vendita le mie foto per il rione Sanità di Napoli»
di Pasquale Esposito
Giovedì 14 Settembre 2017, 10:45
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Il sogno, da tempo, è quello di fotografare l'attesa. Anzi, l'Attesa, con la A maiuscola. Ma intanto domani Mimmo Jodice, tra i più grandi fotografi artisti in campo internazionale, con esposizioni in tutto il mondo, riceve l'ennesimo riconoscimento tra una mostra e l'altra, tra il passato recente e il futuro prossimo: a lui (Teatro Sannazaro, ore 18) il Premio «Tommaso e Laura Leonetti-Un impegno per Napoli», un pastore del 700, un segno d'attenzione destinato a personalità che abbiano contribuito alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio artistico-culturale di Napoli.

Un premio particolare, di cui essere fiero?
«Sì, e difatti sono molto felice di riceverlo perché il fatto che sia dato a chi contribuisce alla valorizzazione di Napoli per me è motivo di vanto. Non ho mai lasciato la mia città, anche quando ho avuto proposte di lavorare stabilmente altrove: questa è la mia terra, la mia gente, sono imbevuto della cultura, della ispirazione che ti dà Napoli, anche e soprattutto con le sue contraddizioni, con le sue difficoltà, con le sue contaminazioni. Un magma che mi ha formato, e del quale non posso e non voglio fare a meno. E poi c'è un motivo ben preciso per essere felice di questo premio...».
Beh, mi pare normale esser contenti quando si riceve un riconoscimento.
«Certo, è normale, ma questo premio mi viene conferito da una famiglia, quindi da dei privati, impegnati - come sono i Leonetti - da anni in attività a favore della cultura, del patrimonio museale, anche del sociale. Mentre le istituzioni - ma non voglio far polemica, solo registrare una situazione - non sempre, anzi quasi mai, son pronte a riconoscere l'attività degli artisti di questa città. È chiaro che non parlo solo per me, però mi sembra giusto chiedere maggiore attenzione per chi si impegna portando in alto il nome di Napoli. Ripeto: non parlo solo di me e per me».
Però il Madre, che comunque è una istituzione, le ha dedicato di recente una grande e bella mostra, che ha avuto molto successo.
«Certo, è vero. Anche in questo caso non è mia intenzione fare polemiche. Però è vero che è dovuto arrivare un direttore da Torino perché questo momento espositivo nel museo d'arte contemporanea della mia città, più volte sfiorato, fosse realizzato. Ringrazio il presidente Forte e il direttore Viliani, che mi aveva avvicinato in occasione di mostre al Castello di Rivoli, alla Galleria d'arte moderna, in altri appuntamenti e che ha portato avanti concretamente il progetto - al quale ovviamente tenevo molto - di realizzare una grande mostra sul mio lavoro, nella mia città ed in un museo molto considerato dagli addetti ai lavori. La mostra è andata benissimo, ha fatto il record di visitatori, si aspetta la pubblicazione del catalogo per poterla esportare in altri contesti museali, italiani e stranieri».
Al conferimento del premio, interverrà tra gli altri anche padre Antonio Loffredo (Premio Leonetti nel 2013), parroco di Santa Maria della Sanità, e si esibirà l'orchestra giovanile Sanitansamble, due segni forti del quartiere in cui è nato.
«Sì, lì mi sono formato, ho cominciato a guardare, anzi a perdermi a guardare, come ho fatto per il resto della vita, e continuo a fare, facendo mia una citazione da Pessoa. Un quartiere straordinario, come straordinario è padre Loffredo per la Sanità. Gli sono molto grato, lo apprezzo molto per tutto per quello che ha fatto e continua a fare per i giovani, per tutto il quartiere».
C'è anche un suo progetto per la Sanità?
«Io da sempre sono vicino alle iniziative di padre Antonio, partecipo concretamente alle sue attività: stiamo varando un nuova iniziativa che ha per titolo 1000x1000: mille mie opere da mettere in vendita a mille euro l'una, l'incasso sarà destinato totalmente alla Fondazione San Gennaro, di padre Loffredo, per fornire un contributo concreto a favore del quartiere».
Un impegno per la Sanità, quindi, che parte da lontano, non solo dalle sue radici ma anche dall'indagine socio-antropologica degli inizi, quando fotografava la protesta della gente che chiedeva lavoro. Tra i temi trattati, la devozione popolare, i riti della tradizione - indagati con Roberto De Simone - le feste de L'Unità, le manifestazioni del Pci, e poi l'archeologia, il mare, le città, quale sente più suo?
«Mi sono tutti cari, appartengono tutti al mio modo di essere artista, con la mia voglia di rappresentare sensazioni, riflessioni, sentimenti».
Prossima mostra? Mica si riposa sugli allori
«Lavorare mi dà la carica vitale indispensabile per tenere la mente occupata. Tra un mese e mezzo a Bologna c'è un festival della fotografia, nel cui ambito hanno riservato uno spazio per una mia personale. Porterò i lavori degli anni '70, le foto della ricerca sociale».
E l'Attesa? Quanto durerà?...
«L'Attesa è una condizione che appartiene a tutti, nella mia mente il tema è presente da tempo, forse da sempre. È un sentimento che è difficile da visualizzare, ma ci studio, ci penso, ci lavoro».