Dalla Nuova Zelanda l'autrice innamorata: «Napoli non è una città, ma un miracolo quotidiano»

Dalla Nuova Zelanda l'autrice innamorata: «Napoli non è una città, ma un miracolo quotidiano»
di Heddi Goodrich
Lunedì 21 Gennaio 2019, 09:49 - Ultimo agg. 10:22
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L’autrice di «Perduti nei Quartieri Spagnoli» ha scritto per noi un pezzo sulla sua idea di Napoli

Per me Napoli non è una città. È un essere magmatico ed enigmatico che da vent’anni è rimasto con me come il fantasma di un amore perduto, il desiderio di un amore mai consumato.

Napoli non può essere racchiusa in una cartolina. Tentare di farlo sarebbe una mancanza di rispetto, un attentato alla sua complessità. Napoli non può essere inquadrata nel mirino di un obbiettivo ma neppure in un romanzo di 400 pagine. Le parole sono inadeguate. È una poesia, una serie di immagini e sensazioni, e ogni volta che la rileggi ti sembra di coglierne un aspetto diverso e inatteso. A volte ti sembra di non comprenderla proprio. È la continua ricerca di una labile verità.

Napoli è una contraddizione. È la vecchietta che si affaccia al suo buissimo basso con la nuova curiosità di una bambina; il disoccupato per strada che, forse per colmare il vuoto, se gli chiedi indicazioni ti dice «vai giù e poi domanda»; è il profumo di peperoni arrostiti e di spinelli. Napoli non è il sole ma la luce in prestito, quella che rimbalza da una finestra al quarto piano e fa una bellissima, brevissima comparsa sui basoli altrimenti immersi in una notte perenne; è il bambino che gira sotto i panni stesi indossando solo un pigiama e una maschera da tigre verde. Napoli è un miracolo quotidiano. È lo squarcio di cielo blu punteggiato dalla luna e attraversato, come una sottolineatura, dalla scia di un aereo che va chissà in quale altrove migliore.

Napoli è un labirinto che va vissuto nel periodo più labirintico della vita, la giovinezza. I piedi vagano come i pensieri; i vicoli si accavallano, si intrecciano, si annodano. Tutti gli eventi, dai più comuni ai più straordinari, si caricano di significato, di riflessioni sull’umanità, di amore frustrato. Ti ispiri, ti ingrippi, ti smarrisci. Ti assalgono mille dubbi, com’è giusto che sia a quell’età, ti apri a mille ferite, mille sogni.

Napoli è uno specchio dell’anima. L’umore della gente sembra riflettere il tuo; anche la città può avere la giornata no, svegliarsi con la luna storta. Ogni strillo è rivolto a te, ogni commento è personalizzato: il venditore ambulante (e chi lo ha mai visto prima?) ti regala un soprannome azzeccato – la principessa, il comandante – e poi ti regala un amuleto, un calzino. I soldi non c’entrano.

Napoli è creazione e distruzione. È un continuo inventarsi e un reinventarsi per guadagnare il pane quotidiano, per non stare con le mani in mano. È tutta un fermento, un movimento; è l’intuizione che la vita è precaria e preziosa ma senza la vera consapevolezza di vivere all’ombra di uno dei vulcani più pericolosi della terra. Napoli è l’intonaco che si scrosta, i sanpietrini che si staccano per accennare alla vita che sta sotto, al non detto.
Napoli è il mare che si apre sul mondo intero, i gabbiani nottambuli che, illuminati dalle luci gialle di un palazzo, se ne staccano come gargoyle dai cornicioni per sorvolare irrequieti l’acqua impenetrabile. È il sub che invece vi si immerge, la sua luce blu che pulsa e fruga nel freddo golfo nero come un cuore che non si rassegna; è un bisticcio sul lungomare. Napoli ti riempie il cuore e poi te lo spezza.
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