«Terroristi», il giallo dei sette algerini napoletani: condannati ma latitanti

«Terroristi», il giallo dei sette algerini napoletani: condannati ma latitanti
di Viviana Lanza
Giovedì 14 Dicembre 2017, 10:28
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La condanna adesso è definitiva e si apre la caccia ai sette algerini accusati a Napoli di associazione finalizzata al terrorismo internazionale. La quinta sezione della Corte di Cassazione ha infatti confermato la sentenza emessa un anno fa dai giudici della Corte di Appello di Napoli al termine di un processo rimasto per anni nel limbo dei procedimenti da fissare, un processo «dimenticato», schiacciato dal peso di una giustizia in affanno per carenza di risorse. Riemerse da quella sorta di oblio un anno fa, a cinque anni dalla sentenza di primo grado. In appello fu definito in una sola udienza e ieri si è chiuso in Cassazione.

Per la giustizia quei sette uomini erano dunque legati a una pericolosa cellula fondamentalista islamica e a Napoli avevano creato una base logistica per «una rete di sostegno dell'organizzazione eversiva di matrice confessionale denominata GSPC (gruppo salafita per la predicazione e il combattimento), funzionalmente collegata - stando al capo di imputazione - all'organizzazione terroristica denominata Al Quaeda allo scopo di compiere atti di violenza contro lo Stato algerino e di atti aventi finalità di terrorismo internazionale». Con questa accusa i sette algerini condannati in maniera irrevocabile rischiano di finire in carcere per scontare le condanne che oscillano dai cinque a un anno e mezzo di reclusione. Bisognerà prima rintracciarli. Molti di loro hanno da tempo lasciato l'Italia, alcuni sono rientrati in Algeria firmando un patto per la riconciliazione. Nessuno ha mai trascorso finora un solo giorno di cella per queste accuse. Ripercorrendo a ritroso la storia del processo si torna ai primi anni Duemila.
 
C'era già stato l'attentato alle Torri Gemelle e il codice penale aveva da poco introdotto il reato di associazione con finalità di terrorismo, il 270 bis. A Napoli i pm indagavano su un giro di documenti falsi e si imbatterono nella pista salafita. Nel 2004 chiesero l'arresto di diciannove algerini, tra i quali l'ex vice imam del corso Arnaldo Lucci Ahmed Nacer Yacine che assieme al fratello Lamine e a Farid Aider, Yacine Garsy, Alì El Heit, Ammar Sahouane e Djamel Nehal sono tra gli imputati condannati ora in via definitiva. Il gip respinse la richiesta di misura cautelare e si arrivò due volte dinanzi al Riesame e due volte dinanzi alla Cassazione ma gli arresti non furono mai autorizzati. Gli indizi non furono ritenuti sufficienti per tenere in cella quegli uomini. L'inchiesta però proseguì, raggruppando filoni di indagini avviate a Milano e Vicenza sempre sugli stessi soggetti. Ci si concentrò sui traffici di documenti falsi e sul trasporto di passaporti e soldi sfruttando i viaggi bisettimanali dei pullman di immigrati sulla rotta Napoli-Marsiglia o Milano-Algeri.

Si indagò anche su alcune attività commerciali messe su da alcuni degli indagati che secondo l'accusa servivano a finanziare il gruppo che a sua volta finanziava «i fratelli algerini». E si scoprirono contatti diretti con combattenti in Algeria che chiedevano supporto materiale e logistico. Con tenacia il pm Michele Del Prete, oggi in servizio alla Direzione nazionale antimafia, portò gli elementi raccolti durante le indagini davanti ai giudici della quinta sezione della Corte di Assise di Napoli perché i processi per terrorismo sono competenza della Corte di assise. L'8 luglio 2011 arrivò la sentenza di primo grado con la condanna per dieci degli imputati. Da allora fino al 2 dicembre 2016 il processo è rimasto fermo. Nel frattempo alcuni reati fine come il traffico di documenti falsi e il flusso di soldi per finanziare i combattenti in Algeria, furono dichiarati prescritti e in piedi rimase solo l'accusa di associazione finalizzata al terrorismo internazionale. Un anno fa la sentenza dei giudici della seconda sezione della Corte di Appello confermò il verdetto. Ieri la Cassazione. Ora resta da dare esecuzione alla sentenza. Poi il sipario calerà.
 
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