I coetanei di Arturo: «Noi scippati, picchiati e rapinati a Napoli. Chi sopravvive è fortunato»

I coetanei di Arturo: «Noi scippati, picchiati e rapinati a Napoli. Chi sopravvive è fortunato»
di Maria Pirro
Sabato 23 Dicembre 2017, 09:43 - Ultimo agg. 18:11
5 Minuti di Lettura
Stessa età di Arturo, 17 anni. Racconta, con un filo di voce: «Mi hanno scippata in piazza Medaglie d'Oro e, per tutta l'estate, ho avuto paura». Stesse scene di violenza: «Senza un perché. Anche io sono stato picchiato da una baby gang, in piazza Monteoliveto. Nel 2015, me la sono cavata con un naso fratturato», dice Luciano D.A., studente del Vittorio Emanuele.  «Sopravvivere è solo questione di fortuna», sostengono Giuseppe L. e Claudio F., entrambi presi di mira vicino all'ex caserma Garibaldi; mentre Claudia M., la ragazza del Comenio rapinata a giugno nel salotto-bene, stringe tra le mani uno striscione che avvisa: «Spezza il silenzio». Ed è un coro di denunce, grinta, rabbia, speranze, quello che si leva dalla manifestazione organizzata a Napoli nel nome di un ragazzo come gli altri lunedì accoltellato alla gola e al torace. «Il vero dramma inizia nelle famiglie», interviene un'altra studentessa, Rea F., ma la sua compagna di classe Simona R. chiede più vigilanza: «È ingiusto dover rinunciare a divertirsi, perché ci sono ragazzi pronti a uccidere per niente».
 

Alessio V., 17enne del Caccioppoli, indica lo stesso luogo del raid subito da Arturo e riferisce un altro episodio: «Qui, in via Foria mi hanno puntato la pistola alla tempia». Non è stata la prima volta: «In terza media mi avevano preso con il coltello per avere il telefono». Sospira un altro ragazzo, Andrea C.: «Per fortuna, a me non è ancora successo», mentre il liceale che gli sfila accanto ricorda una data precisa: 14 giugno 2016. «Quel giorno un 24enne con il cappellino mi ha minacciato con una lama nello stomaco. L'ho denunciato e così scoperto che aveva già 10 fascicoli aperti e aveva anche staccato a morsi il lobo dell'orecchio a un'altra vittima».

La tecnica di assalto è purtroppo nota. «Mi hanno chiesto l'ora in piazza Carlo III e ho dovuto consegnare il telefono», afferma il 17enne Adriano R., giubbotto di pelle e sorriso aperto; mentre Angelo S. parla di una rapina a febbraio 2017, portata a termine per metà: «Uno di noi ha urlato e sono scappati, ma la gente non è intervenuta e questo mi ha fatto più arrabbiare e spinto a partecipare alla manifestazione. Sento mia la vicenda di Arturo: non si può, non dobbiamo restare a guardare». Il ragazzo abbraccia l'amico e si ripara sotto il cartello scritto assieme ai compagni del Garibaldi: «Noi, gente che spera».

Laura frequenta il Vico: ha 15 anni ed è (forse) la penultima finita sotto tiro, aggredita lo scorso venerdì, a due passi da casa, in via Girolamo Santa Croce. Ore 17: «Un uomo sulla cinquantina, in scooter, si è accontentato di prendere il denaro». Federica G., l'amica 17enne, solleva lo striscione dedicato a Genny Cesarano: «Questo ragazzo addirittura è stato ucciso per sbaglio. Tacere, dopo l'ennesimo caso, avrebbe significato un po' acconsentire». Elena M., 15 anni, dice che ha dovuto imparare a guardarsi le spalle sin da piccola. E a correre più forte: «Nel 2012, in pieno giorno, due bulli hanno tentato di bloccarmi in piazza Carlo III. Adesso esco solo in gruppo, con 10-15 compagni». Dietro c'è sua madre, Adriana Scotti, che insegna nella stessa scuola, l'istituto Villari. E anche la professoressa ha una disavventura da raccontare: «Ho subito due tentativi di scippo, in via Paradisiello e in piazza Cavour, e ho assistito a un accoltellamento in via Rosaroll, oltre ai tanti piccoli soprusi quotidiani. Ma la mia paura più grande resta per Elena». Lei sorride: «Non bisogna abbandonare questi altri ragazzi, distinguere tra noi e loro. È decisivo sostenerne l'integrazione con progetti che devono innanzitutto portarli a seguire le nostre stesse lezioni».

Francesco Maria Pisani, detto Ciccio, iscritto al Convitto, si dichiara «molto sfortunato». Suo il record di aggressioni: tre tentativi di rapina. «L'orologio, il telefono sul bus, di nuovo il telefono in strada sottratti da giovani o adulti, tutti a volto scoperto. La prima volta, nel 2014, ho reagito e rischiato di beccarmi io una denuncia», spiega il 18enne, chiedendo ai rappresentanti delle istituzioni, che pure sfilano in corteo, «interventi concreti». «Il problema non è Gomorra la serie, ma l'esempio che manca nelle famiglie; c'è un disagio diffuso non può, non deve essere più ignorato», si infiamma Rosario Mantico, 18enne dell'istituto Serra.

 «Meglio allontanarli dai genitori, se non sono maestri di valori», suggerisce Dario, 15 anni, iscritto al Cuoco, stesso liceo di Arturo.
In attesa di soluzioni, lui preferisce restare in camera a studiare: «Nella mia bolla», la definisce. «Ma anche io mi sono beccato un calcio in faccia, alla fermata del bus davanti al liceo. E nessuno è intervenuto». Sfilano anche i bambini dell'istituto Di Giacomo, ex scuola del ragazzo ricoverato al San Giovanni Bosco e scuola di un altro 13enne ferito con il coltello. Tre allievi su cinque sono protagonisti di un'altra storia assurda: «Nel bus, un ragazzo ha preso una mazza solo perché si sentiva osservato da noi». Gli alunni del Colletta citano altri episodi cui hanno assistito o sentito ripetere dai genitori, e i compagni firmano le lettere indirizzate ad Arturo. 


Per Mary Colonna, la sorella ventenne di Ciro, vittima innocente in un agguato di camorra, i carnefici «non si possono perdonare. Sono qui alla marcia, perché la mia famiglia sopravvive ormai, questi ragazzi vogliono vivere». Lara, la sorella del 17enne, chiude la manifestazione con un appello: «Vogliamo giustizia, ma questi ragazzi che hanno colpito sono le prime vittime». Uniti, si può reagire. Arturo non è un'isola.
© RIPRODUZIONE RISERVATA