Racket a Napoli, ecco il tariffario:
pagano anche le bancarelle

Racket a Napoli, ecco il tariffario: pagano anche le bancarelle
di Giuseppe Crimaldi
Giovedì 17 Gennaio 2019, 23:00 - Ultimo agg. 18 Gennaio, 19:03
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Più che un’onda è uno tsunami. Il racket, soprattutto nelle zone del centro storico, è una marea nera, potente e inarrestabile alla quale nessuno può sottrarsi. Dal salumiere al garagista, dal supermercato all’artigiano, per non parlare dell’imprenditore che apre un cantiere - pubblico o privato che sia - o che si aggiudica una gara d’appalto magari nella fornitura dei servizi di mensa o lavanderia di un ospedale, nessuno riesce a sottrarsi alle richieste estorsive. E gli esattori del pizzo non si fanno scrupoli nemmeno con i venditori ambulanti.
 
Il racket sugli ambulanti è da sempre monopolio assoluto del clan Mazzarella. E continua a rappresentare un boccone ghiottissimo per la camorra, in termini di guadagni illeciti. A svelare i contorni di questo odioso ricatto che maschera un’inedita forma di estorsione fu - un anno fa - un senegalese 52enne, Amadou, ex venditore ambulante di scarpe nella zona della Maddalena.
All’indomani di un sanguinoso raid commesso alle spalle della statua di Garibaldi, alla Ferrovia, Amadou spiegò come si muovevano i Mazzarella: gli stessi esattori che riscuotevano dai 20 ai 50 euro a settimana imponendo il pizzo ai venditori ambulanti costringevano gli stessi ad acquistare le buste in cellophane nelle quali imbustare la merce. «Estorcono agli immigrati dieci euro per tre buste, laddove una confezione di 50 non costerebbe più di sette euro». Chi non paga viene prima minacciato, poi punito anche alle gambizzazioni.

Sebbene resti molto difficile ancor oggi quantificare gli introiti che finiscono mensilmente nelle casse dei clan di camorra del centro cittadino, è possibile - sulla scorta delle indagini più recenti già concluse e di quelle ancora in corso - tracciare i costi imposti a commercianti e a piccoli e gandi imprenditori.
Fino a qualche anno fa la criminalità organizzata privilegiava le grandi opere. Non c’era cantiere della metropolitana in costruzione, scuola da ristrutturare o manto stradale da sistemare che sfuggiva agli emissari delle cosche. Un business milionario. Il fenomeno è nettamente calato grazie all’accordo stipulato dalla Federazione italiana antiracket, la Prefettura di Napoli e le forze dell’ordine: gli imprenditori impegnati in ristrutturazioni di facciate di condomini o di strutture pubbliche aderivano al Patto Antiracket esibivano un cartello che è riuscito a tener lontane le sanguisughe della camorra. Poi c’è però ancora chi sottosta al ricatto. Per un cantiere di media rilevanza nel quale lavorano almeno una decina di operai la richiesta estorsiva può variare dai 2000 ai 5000 euro, e in casi particolari lievita addirittura ulteriormente. Identico discorso per gli appalti di servizi mensa o ospedalieri: le richieste vengono normalmente formalizzate in termini economici, ma non sono mancati i casi in cui - oltre al «pizzo» - il boss di turno ha preteso l’assunzione di persone di sua fiducia da destinare alle maestranze.

Ma a preoccupare di più le forze dell’ordine è il racket «a tappetto», quello che viene cioè imposto orizzontalmente e che non lascia prigionieri sul campo. Falegnami, panettieri, bar, minimarket, officine meccaniche, mercerie: tutti devono versare l’obolo ai clan. Cinquanta euro al mese quelli che fatturano poco, 100 o anche 200 tutti gli altri che fanno più affari. Così funziona a Forcella, al Rione Sanità e ai Decumani. E quasi nessuno trova il coraggio di denunciare.
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