Napoli, disperazione e rabbia tra gli sfollati: «Presidio finché non si trova il colpevole»

Napoli, disperazione e rabbia tra gli sfollati: «Presidio finché non si trova il colpevole»
di Paolo Barbuto
Lunedì 19 Novembre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 13:16
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Hanno un trolley con le cose che sono riusciti a prendere al volo prime di essere sbattuti fuori dalle loro case e sguardi sperduti. Si aggirano intorno al nastro rosso che delimita la voragine, aspettano che accada qualcosa ma non succede nulla. Promettono battaglia per rientrare subito nei loro appartamenti e contemporaneamente cercano un posto per andare a dormire, perché la sistemazione al palazzetto Urban non piace a nessuno.

Non si spiegano perché ci vuole tanto tempo a intervenire, guardano il cielo che promette pioggia perché hanno saputo che altra acqua in quella voragine potrebbe significare definitivi danni ai loro edifici.
 
Valentina passa quasi tutto il tempo al telefono. Abita nel nuovo palazzo appena ristrutturato e non ha nessuna intenzione di restare fuori casa a lungo: «C'è un colpevole, sicuramente c'è. Io sono convinta che sia l'Abc ma aspetto che si accerti la verità: però nel momento in cui si scoprirà chi è il responsabile di tutto questo, gli chiederò conto di tutto il male che ha fatto a me e alle altre famiglie che si trovano in questa situazione».

Valentina Marroni ha lo sguardo intenso di chi ha combattuto ben altre battaglie nella vita, ha la consapevolezza che si può superare ogni difficoltà: attorno a lei si aggrega un piccolo gruppo di persone che protesta: «Già alla fine dell'estate, qualche metro più sopra, in via Ventaglieri, si verificò un grave problema di perdite dalle condutture. Possibile che nessuno abbia pensato che sarebbe andato avanti?», dice una diciannovenne che sta aggrappata alla sua valigia.

Qualche metro più in là c'è il gruppo degli sfollati del numero 27 di via Ventaglieri. In quell'edificio abitano molti stranieri. Sono stati i primi ad essere cacciati di casa nella notte fra sabato e ieri. Una donna di origini sudamericane si sfoga al telefono con un'amica. Guarda in alto verso le finestre del suo appartamento e le vengono i lucciconi: «Da ieri sera sto pregando che tutto finisca per il meglio, che il palazzo non venga giù. Siamo scappati di corsa e non ho potuto prendere niente, io non posso perdere le mie cose. Il palazzo non deve crollare».

I vigili del fuoco presidiano e controllano, gli addetti dell'Abc verificano e si affrettano nel tentativo di rimettere a posto le cose. Una donna si nasconde in un angolo, le lacrime le solcano le guance: «Ho appena comprato una casetta in un palazzo rimesso a nuovo. Non posso pensare che quella casa, comprata grazie ai sacrifici di una intera vita, sia perduta per colpa di una conduttura difettosa».

Gli occhi si sollevano verso l'alto. L'edificio appena ristrutturato, dipinto di un vivace rosso pompeiano, porta già i segni del cedimento, li mostra con preoccupazione Roberto Megale: «Vede lì, in alto, alla congiunzione fra la prima porzione dell'edificio e quella leggermente più alta? Ecco, è in quel punto che uil palazzo si sta piegando». Ha ragione Megale, si nota una frattura in alto. E quella stessa frattura è presente anche nella parte interna dell'edificio: «Speriamo bene», sussurra. E si allontana.

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