«Casalesi e stese a Napoli
l’allarme dell’Antimafia»

«Casalesi e stese a Napoli l’allarme dell’Antimafia»
di Giuseppe Crimaldi
Lunedì 15 Ottobre 2018, 08:21 - Ultimo agg. 08:26
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Un mostro velenoso a due teste. «Quando parliamo della camorra - spiega al «Mattino» il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho - non dobbiamo dimenticare che il termine andrebbe declinato al plurale, perché esistono almeno due camorre: quella strutturata, ben conformata e capace di controllare in maniera capillare il territorio con attività tradizionali che vanno dal racket ai traffici di droga; e una seconda, forse ancora più temibile, che attraverso il riciclaggio del denaro sporco e con la complicità di soggetti anche insospettabili inquina l'economia legale, al pari di quanto fa Cosa Nostra e la ndrangheta. Sbaglia chi pensa, oggi, che i Casalesi non esistano più. La camorra di Terra di Lavoro resta oggi ancora forte: e continuerà ad esserlo fino a quando non riusciremo a mettere le mani sulla sua enorme cassaforte». Insomma: guai a cantare vittoria sul fronte della lotta alla criminalità organizzata in Campania, come d'altronde in Sicilia, in Calabria, Puglia e Sardegna».

Procuratore, è preoccupato?
«Mi limito a dire che non è vero che i Casalesi, in quanto clan, siano stati sgominati. Non è così: la cosca continuerà ad esistere fino a quando potrà contare sulle connivenze e complicità di una zona grigia rappresentata da imprenditori senza scrupoli attivi non soltanto in Campania, ma nel resto d'Italia e anche all'estero».

Chi comanda oggi questa organizzazione criminale? Esiste un nuovo capo dei capi?
«Parlare oggi di un superboss non è possibile. L'oligarchia che un tempo reggeva quel clan tanto assimilabile alla mafia è stata spazzata via da arresti, condanne e regime al carcere duro. I vecchi boss hanno perso ogni controllo del territorio. Ma - attenzione - sono emerse nuove leve capaci di proporsi come boss. Inoltre sbisogna fare i conti con l'uscita dal carcere di vecchie conoscenze che hanno scontato i loro debiti con la giustizia e stanno sfruttando il loro antico prestigio delinquenziale per tornare al comando. Tentano, cioè, di riguadagnare posizioni di vertice, laddove magari fino a qualche anno fa occupavano solo ruoli intermedi».
 
Serve una nuova strategia investigativa di fronte a questo inedito quadro?
«Direi piuttosto che è indispensabile mettere le mani sul tesoro accumulato negli anni dall'organizzazione criminale. Ecco, dobbiamo trovare la loro cassaforte e continuare con il coordinamento investigativo».

Passiamo a Napoli. Che camorra è oggi quella che opera nel capoluogo campano?
«Oggi in città contiamo una quarantina di clan, e un'altra trentina sono quelli attivi in provincia. Un cancro che va estirpato prima che produca ulteriori metastasi. A Napoli il quadro è complesso: siamo in presenza di un gruppo di cosche ben strutturate e radicate sul territorio, anch'esse capaci di dedicarsi al riciclaggio e al reinvestimento di proventi illeciti che vengono canalizzati nei traffici internazionali di stupefacenti, penso ai clan ancora attivi nell'area della periferia nord di Napoli che va da Secondigliano a Scampia e a Melito. Qui parliamo di criminali capaci di muovere un fiume di denaro quantificabile addirittura nell'uno per cento del Pil nazionale (qualcosa che si avvicina ai 18 miliardi di euro, ndr). Poi c'è l'altra parte di clan, che io definirei piuttosto bande di quartiere: ugualmente temibili, sebbene si limitino a combattersi per la difesa magari di una piazza di spaccio».

In questo secondo gruppo possiamo inserire anche i giovani e giovanissimi che scatenano il terrore nelle strade del centro con le stese?
«Certo. È una camorra più magmatica, che cambia continuamente pelle e struttura, spesso disperdendosi e dando luogo a sempre nuove organizzazioni. Anche questa camorra naturalmente non va sottovalutata. Ma mentre esistono dei tempi naturali nei quali vanno sviluppate le indagini per acquisire la prova, c'è un'emergenza di ordine pubblico che va fronteggiata con immediatezza. E con strumenti che devono essere più stringenti».

Quali, procuratore?
«Quello delle stese è un fenomeno esclusivamente napoletano, anche se voglio ricordare che gli stessi Casalesi per un lungo periodo utilizzavano lo stesso strumento di intimidazione, andandosene in giro per le strade con le pistole in pugno, sparando e urlando: Qui comandiamo noi!. Ecco, ciò premesso, io credo che di fronte a questi nuovi gruppi, pericolosissimi a Napoli città, serva una nuova strategia di contrasto».

Cioè?
«A Napoli è necessario che lo Stato scenda in campo con tutte le proprie forze. Serve, cioè, una presenza veramente costante delle forze dell'ordine che non si limiti al posto di blocco per strada, ma che realmente impedisca a giovani e giovanissimi di sentirsi padroni del territorio, e dunque boss. È tempo di lanciare un messaggio forte a questi violenti di strada: e una presenza costante che dimostri la forza dello Stato. E dunque: controlli tutti i giorni, asfissianti, incessanti e non saltuari. Nel momento in cui si sposerà questa linea non una sola bustina di droga dovrà essere spacciata ai Quartieri piuttosto che a Ponticelli o al Rione Traiano, o a Scampia, né una solo moto con persone armate dovrà più scorazzare per le vie del centro incutendo terrore ai napoletani».

Emerge un nuovo allarme: quello legato alla cannabis venduta legalmente per scopi terapeutici che, se trasformata con accorgimenti pubblicizzati anche su internet, si trasforma in potente sostanza stupefacente.
«Al momento non abbiamo traccia di ciò nelle inchieste in corso. Naturalmente si tratta di un fenomeno da non sottovalutare. Su questi argomenti non bisogna abbassare mai la guardia».
 

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