Lo scempio delle foto sul trono dei Borbone

di ​Giuseppe Montesano
Mercoledì 16 Maggio 2018, 07:00
4 Minuti di Lettura
Chissà come dovremmo chiamare le quattro «signore» che hanno postato la foto di se stesse che adagiavano i didietrini o i didietroni sul velluto settecentesco del trono dei Borbone a Palazzo Reale: forse regal-socialiste? forse sub-sociali? o forse facenti parte di ammemepiaceosocial@nunmenefottnient.str?

E poi diciamolo: ma che delusione per i fan delle quattro! I selfie solo sul trono regale? Ma a Palazzo Reale c'è anche la camera da letto della Regina! E il lettone, perché non sfruttare anche il lettone? E poi c'è la toilette con l'arredamento autentico, e là sai che selfie! Stiamo scherzando, ma con amarezza: perché il fatto che, approfittando di una manifestazione di Wine&Thecity che occupava i locali della Reggia, alcune persone abbiano potuto eludere la sorveglianza e fare quel che volevano del patrimonio culturale di Napoli è triste. Siamo alle solite come nello stile Reggia di Caserta con il fiorista a cavalluccio del leone?

Ma no, siamo seri: la socialfoto delle quattro anti-ladies sul trono borbonico supera qualsiasi cosa, e al confronto i protagonisti del Boss delle Cerimonie oggi diventato del Castello sono dei lord e delle lady totalmente british, vere anime nobili esenti da ogni volgarità. Dietro la volgarità assoluta e il disprezzo totale per i beni della cultura dei quattro didietri golosi di trono e di esibizione, si spalanca l'abisso perverso del farsi vedere a ogni costo che è l'anima vera dei social, una fiera della vanità scema che tra poco si farà immortalare vicino al sangue dei morti per camorra pur di stupire, un agitarsi di animucce prive di vita interiore che cercano di esistere succhiando vita ai like che levano il pollice come topini stimolati da elettrodi. Ma nella storia del trono di Palazzo reale si presenta anche una questione molto grave, che nell'epoca dell'arte come forma di turismo è e sarà sempre più cruciale: la questione della cura dei beni artistici di questa città. La modaiola serata di Wine&Thecity a Palazzo Reale, a cui era presente il bel mondo e il sindaco di Napoli, era fatta per raccogliere fondi, o almeno così pare, e certo non c'è istituzione culturale che non abbia bisogno di fondi: figurarsi la Sovrintendenza, che gestisce Palazzo Reale. Wine&Thecity dice di aver pagato quasi diecimila euro per l'affitto e di non essere responsabile della custodia degli oggetti, che spettava a chi ha ricevuto il denaro della serata: ovvero alla Sovrintendenza o a chi gestisce i custodi di Palazzo Reale.

Allora sarebbe bello sapere, senza aspettare decenni, alcune cosette: erano sufficienti i custodi la sera delle quattro didietrine in trono? È ben organizzato il sistema di protezione delle opere e dei luoghi artistici di Palazzo Reale e di tutti gli altri posti di Napoli che in futuro potranno essere affittati a scopo di autofinanziamento? E chi ne è responsabile? Bisognerebbe saperlo con certezza: la certezza che chi sbaglia paga e chi no è premiato. E, in fondo in fondo, ci si potrebbe anche porre la questione se sia davvero così lungimirante chiedere a Musei e luoghi d'arte un impossibile o rischioso autofinanziamento: o se non sia di per sé un investimento, per un Paese che si vuole evoluto e che è straricco d'arte come l'Italia, dare soldi, controllando l'uso di ogni centesimo, a istituzioni culturali e a beni pubblici che generano profitto non direttamente, ma con il loro indotto.

Le opere d'arte si deteriorano anche se passa semplicemente il tempo, le città d'arte si deteriorano semplicemente perché milioni di turisti le usano e le consumano: nulla si mantiene da solo. E l'opera o il luogo deteriorato è morto, e non può essere sostituito da una proiezione in 3D: nessuna persona sana di mente si sposta da casa, paga un albergo e biglietti e ristoranti per vedere ciò che vede comodamente a casa propria. Chi viene a Pompei o al Museo archeologico, e per favore si faccia una statistica via interviste e si scoprirà che nessuno va a Pompei o al Man per vedere i giochetti in 3D o simili, viene solo perché Pompei è concreta e reale: ma se Pompei diventa polvere, i turisti la visiteranno sui tablet e sui cellulari, e il turismo culturale sarà finito. La conservazione dei beni culturali è la sola innovazione che permette al turismo culturale di esistere, e quindi è generatrice di profitto. È troppo difficile da capire che conservare nel migliore dei modi è essenziale anche al profitto? E non sarebbe sensato che chi amministra e gestisce progettasse con più intelligenza il futuro di quel turismo culturale che è arrivato a Napoli come una grazia ma che contiene anche un pericolo? Altrimenti tanto vale mettere il biglietto per farsi fotografare nel letto della regina di Napoli o con in testa una corona da re; o dare in prestito per i matrimoni la coppa Farnese e l'Iside del Man; e far gestire le Opere della Misericordia a un ristorante a dieci piani da costruire a Sant'Elmo: i socialnarcisi ne sarebbero certo estasiati. Noi, e soprattutto quelli che verranno dopo, molto meno. Siamo seri: solo i cafoni arricchiti dissipano le eredità ricevute. Non dissipiamo ciò che fa vivere questa città, per favore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA