Venti anni per arrivare a una sentenza di primo grado, tre anni e mezzo per non depositare le motivazioni. Arriva - in modo quasi inevitabile - la richiesta di chiarimenti da parte del presidente del Tribunale di Napoli, che si è mossa in due direzioni: da un lato un sollecito nei confronti dei giudici che hanno firmato la sentenza, chiedendo loro di depositare le motivazioni e consentire così di dare corso ad eventuali appelli o istanze di parte; dall’altro - anche in questo caso in modo inevitabile - è partita la segnalazione alla Procura generale presso la Cassazione, per l’avvio di una eventuale verifica disciplinare. Tribunale di Napoli, giustizia decisamente al rallenty, a giudicare dalla storia recente e passata di un’inchiesta nata addirittura alla fine degli anni Novanta. Parliamo del processo al clan Stabile (o meglio: presunto clan Stabile, in attesa di un verdetto definitivo), che nacque per fare chiarezza sul ruolo di alcuni personaggi ritenuti vicini alla camorra di Miano.
Un processo che ha conosciuto diversi stop and go, dal momento che il dibattimento di primo grado è durato circa venti anni.
Una vicenda che resta sospesa, ovviamente in attesa delle possibili repliche da parte dei diretti interessati. Parliamo dei giudici che a maggio del 2020 componevano il collegio B della prima sezione penale di Napoli. Furono loro a firmare undici verdetti nei confronti di - tra gli altri - presunti esponenti del clan Stabile. Associazione camorristica, armi, droga e un tentato omicidio erano i reati contestati dalla Dda di Napoli alla fine degli anni Novanta. Da allora, una incredibile serie di stop all’intera istruttoria dibattimentale. Si partì dalla decisione di separare i reati associativi dagli omicidi (che furono trattati dinanzi alla corte di assise), per poi dare vita a una serie di udienze puntualmente rinviate. Ma per quale motivo ci sono voluti venti anni per arrivare a una sentenza di primo grado? Gran parte delle criticità hanno riguardato i continui cambi di collegio, che hanno reso necessario interrompere l’iter dell’istruttoria.
Con il trascorrere del tempo poi arriverà la mannaia della decorrenza dei termini, che ha di fatto rimesso tutti gli imputati a piede libero, facendo slittare l’urgenza dell’accertamento processuale stesso. In primo grado vennero condannati a 24 anni soggetti del calibro di Gaetano, Salvatore e Ciro Stabile; a 26 anni Giuseppe e Vincenzo Stabile. Poi condanne intermedie per altri presunti affiliati, mentre c’è chi è stato assolto. Un dispositivo che andava motivato in 90 giorni, ma l’attesa è durata decisamente più a lungo. Spiega a Il Mattino il procuratore generale Antonio Gialanella, ovviamente in attesa delle possibili verifiche sul caso e delle eventuali repliche dei magistrati: «Se fosse confermata questa circostanza si tratterebbe di un caso di gravissima patologia, che investe la responsabilità diretta di chi non ha depositato le motivazioni», ha concluso il magistrato napoletano, forte della competenza acquisita in passato presso la Procura generale della Cassazione.