Università Federico II, porte aperte a chiunque: «Ora serve maggiore sorveglianza»

Università Federico II, porte aperte a chiunque: «Ora serve maggiore sorveglianza»
di Pietro Treccagnoli
Giovedì 15 Marzo 2018, 07:05 - Ultimo agg. 11:41
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Per sua natura, per la sua storia e anche per il suo statuto, l'università è aperta a tutti. Un'agorà. Luogo di democrazia e di sapere. E di tolleranza. Ma a volte può essere fin troppo aperto. Incontrollato, dove si può entrare e provare persino ad appiccare il fuoco, dolosamente. Un incendio, per fortuna di poco conto e subito spento, ha sconvolto la sede centrale della Federico II, al corso Umberto I, mettendo a nudo i rischi che può correre un'istituzione che dovrebbe essere immune da attentati, vendette, intimidazioni, pubbliche o private.
 


Così ieri mattina al secondo piano dell'imponente edificio di fine Ottocento, insieme agli ultimi fumi del piccolo rogo spento si respirava un'aria di sconcerto misto a stupore. Le fiamme sono divampate a fianco alla scrivania dell'usciere, nel corridoio, subito accanto alle porte che menano alle scale e all'ascensore. Ora restano alcune lunghe strisce nere e bianche sul pannello di legno che copre la parete. Le fiamme sono state spente dopo pochi minuti e, fatti i rilievi dagli inquirenti, sui larghi disegni del pavimento non c'è più alcuna traccia. Se non si è a conoscenza di quanto è avvenuto da vedere c'è solo una scrivania con una sedia, un computer e alcuni fogli. Vuota, come possono essere tante scrivanie negli uffici pubblici.
 
Le porte che si aprono sul corridoio sono quelle del Coinor, il Centro di Ateneo per la Comunicazione e l'Innovazione organizzativa, che si occupa anche della gestione di importanti progetti della maggiore università del Mezzogiorno, come quello della Apple a San Giovanni a Teduccio. Alla Centrale resistono ancora due dipartimenti dell'ateneo. Ci sono aule di Giurisprudenza e di Lettere e Filosofia. Proprio sopra il luogo dove è stato collocato l'innesco incendiario c'è la biblioteca, ma l'ingresso è al piano ancora più sopra, il quarto. Oltre la porta, accanto alla postazione che è stata presa di mira, c'è un'altra porta che conduce ad altre scale e poi un'altra porta ancora che immette nell'aula maga. Oltre si trovano gli uffici del Rettorato vero e proprio, sorvegliati da un usciere e dove non si entra senza appuntamento.

Altrove il via vai comincia a prima mattina, come è accaduto ieri. Studenti che vanno a lezione e che si attardano per le scale, impiegati che prendono servizio. L'unico posto di guardia è al pianterreno, nell'atrio. Ma serve più che altro come smistamento e informazioni. Il salone è controllato da videocamere ed è l'unico spazio protetto dall'occhio elettronico. Negli altri uffici non ce n'è bisogno. O meglio non ce n'era fino a ieri mattina. Perché adesso, a prescindere dall'esiguità del danno, cambia tutto. Serve un controllo maggiore, spiega chi ci lavora e che ha sempre pensato di essere esente da un particolare tipo di rischio. Non può più essere un porto di mare, aggiungono in coro.

Tutti, a cominciare dal rettore Gaetano Manfredi che sottolinea anche lui quanto sia urgente un rafforzamento dei controlli, escludono il coinvolgimento degli studenti. Da tempo non ci sono tensioni e, se fosse opera di qualche estremista, ci sarebbe stata una rivendicazione che non c'è stata. Anzi è arrivato un comunicato formale e unitario da parte del Consiglio degli Studentiche «si uniscono nel condannare aspramente i fatti e nel manifestare il proprio sostegno alle istituzioni». E hanno aggiunto: «Nonostante siano ancora da appurare le motivazioni e la dinamica del dolo, riteniamo necessario testimoniare la vicinanza della comunità studentesca, ai lavoratori ed agli studenti che quotidianamente frequentano i luoghi universitari e ci uniamo tutti a difesa della tenuta democratica delle istituzioni». Si indaga a trecentosessanta gradi, perché l'università è ambiente sensibile, quindi non può esserci una sola chiave di lettura di un episodio molto pericoloso. Il prorettore Arturo De Vivo che, assieme a Manfredi, ha seguito da vicino l'evolversi della vicenda non esita a puntualizzare il carattere simbolico di un attentato che potrà anche avere una genesi «privata» ma mantiene una carica preoccupante: un pessimo e inquietante segnale. «Erano i nazisti» commenta con amarezza «a mettere a fuoco le università».

Dopo il trambusto delle prime ore, quando sono arrivati pompieri e artificieri, è rapidamente calata la quiete.
I pochi studenti informati dell'incendio non paiono particolarmente preoccupati. È accaduto lontano dalle aule che frequentano e non c'è stata una particolare ricaduta sulle lezioni. Immediata, invece, è stata la solidarietà, mista a preoccupazione, arrivata alla Federico II. «Colpire un luogo di ricerca e di trasmissione di saperi come l'università, rappresenta un attacco a chiunque abbia a cuore la libertà di pensiero e il futuro dei nostri giovani» ha commentato la Rettrice dell'Orientale, Elda Morlicchio. Mentre, attraverso un tweet, è arrivata l'invito dei segretari Cgil e Flc-Cgil, Walter Schiavella e Alessandro Rapezzi: «Accertare le responsabilità e garantire tutte le condizioni per il regolare svolgimento delle attività dell'Ateneo». Il presidente del Pd campano, Stefano Graziano, si è augurato «che le forze dell'ordine facciano subito piena luce» e il consigliere regionale Francesco Moxedano ha sottolineato che si tratta di un «fatto gravissimo se si pensa che è avvenuto in un luogo solitamente deputato al sapere e alla cultura, frequentato ogni giorno da studenti, lavoratori tecnico-amministrativi e docenti». Una «ferma condanna» arriva infine dal governatore Vincenzo De Luca.

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