Il racconto di Emanuele, inseguito e sfregiato: «Ho creduto di morire, non finivano mai»

Il racconto di Emanuele, inseguito e sfregiato: «Ho creduto di morire, non finivano mai»
di Giuliana Covella
Martedì 22 Maggio 2018, 07:00 - Ultimo agg. 16:04
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«Se mi avessero colpito in testa o in un occhio, sarei morto. Ma nonostante la violenza inaudita con cui mi hanno aggredito, se me li ritrovassi di fronte direi loro: vi perdono». Accenna un sorriso Emanuele A., 16 appena, iscritto al terzo anno del liceo artistico con indirizzo scenografia, mentre seduto sul divano a casa della zia racconta nei dettagli dell'aggressione subita da una coppia di coetanei venerdì scorso a Scampìa. Al ritorno dalla stazione locale dei carabinieri, dove è andato insieme alla madre Lina Grimaldi, per tentare di identificare i suoi aggressori, Emanuele ripercorre con la mente e le parole i terribili istanti vissuti nel pomeriggio del 18 maggio. «Dopo la scuola come sempre sono andato a prendere la metropolitana e sono sceso a Scampìa intorno alle 16 - racconta - all'uscita ho scelto di prendere un'altra strada. Le cambio spesso. Ho quattro o cinque opzioni. Stavolta avevo deciso di percorrere via Valerio Verbanio, che costeggia il cantiere dell'Università, perché era una bella giornata e volevo sentire il sole sulla pelle». Ma è stato lì che il ragazzo si è imbattuto in due giovani in sella ad uno scooter. «Li ho visti sbucare da un palazzo e venirmi incontro - tagliandomi la strada sul lato sinistro - volevano soldi, ma non mi hanno dato nemmeno il tempo dire che non ne avevo, quando uno dei due, il passeggero, è sceso e mi ha colpito con una spranga di ferro».
 
Un inferno quello vissuto dal 16enne, che non ha avuto la forza di reagire se non di intimare loro di fermarsi. «Gli ho detto che fate? Questo non si fa. Ma quello che stava seduto dietro continuava a colpirmi allo zigomo, mentre il guidatore aveva preso il mio zaino con i libri e i riassunti che mi servivano per l'interrogazione di Chimica». Incuranti del grido disperato della vittima, i due balordi non si sono fermati, fino a quando non lo hanno lasciato sul selciato sanguinante: «Ho creduto di morire e pur di porre fine a quel tormento ho consegnato loro il mio cellulare. Poi sono andati via e un passante a cui ho chiesto aiuto mi ha accompagnato a casa. In quel momento mi è sembrato di rivivere una scena di Gomorra, quando arrivano i soccorsi dopo un'aggressione». Nonostante l'accaduto Emanuele ha avuto la forza e il coraggio di tornare a scuola ieri mattina: «Ho voluto raccontare tutto ai miei compagni e ai miei insegnanti a testa alta». E a testa alta il minorenne ha autorizzato la madre a pubblicare sui social le sue foto col volto tumefatto e sanguinante per le ferite: «perché qualcun altro avrebbe potuto trovarsi lì e cavarsela peggio di me. Ma soprattutto perché se serve a far capire in che razza di mondo viviamo, sono disposto a mettere in piazza la mia vita». Curato dai medici del pronto soccorso del Cardarelli, il ragazzo ha riportato un trauma maxillo facciale rimediando quattro punti di sutura sullo zigomo sinistro: «Non posso sorridere perché altrimenti si riaprono le ferite. Ma quello che mi fa più male è che quando esco ho paura, anche se si avvicina un'auto, un camion o un motorino. E ho paura per la mia famiglia, che ha avuto la forza di denunciare». Vittima di bullismo già da piccolo, Emanuele si dice tuttavia disposto a perdonare i suoi aggressori, che ricorda molto bene: «Uno era piuttosto magro, l'altro più in carne. Indossavano magliette nere con una riga bianca intorno al braccio e capelli rasati nelle tempie. E avevano un'aria spavalda, come se fossero i padroni del mondo. Ma - ribadisce - anche se da loro ho subito una violenza, non me la sento di augurargli la morte né di sperare che marciscano in galera».

Non smette un attimo di lasciare solo suo figlio mamma Lina, estetista, 55 anni, che il 27 maggio parteciperà alla marcia contro la violenza organizzata da Maria Luisa Iavarone (madre di Arturo, il 17enne accoltellato a dicembre da una baby gang in via Foria). «Adesso lo accompagniamo noi a scuola - spiega - per aiutarlo a esorcizzare la paura lo abbiamo portato subito sul luogo dell'aggressione. I punti di sutura che ha sul volto passeranno, ma ci vorrà più tempo per risanare quelli nell'anima». Una maggiore presenza di forze dell'ordine è ciò che chiede Lina, «anche se qui fanno già abbastanza», dice. Sempre presente nella vita del figlio, che «balla il latino-americano in una scuola dove continuano a collezionare premi», come sottolinea con fierezza, la donna non nasconde l'amarezza per alcuni commenti negativi sui social e cita lo stupro del Circeo (1975): «anche in quel caso si disse che le due ragazze se l'erano andata a cercare». Infine un messaggio-appello agli aggressori di Emanuele: «Mi auguro possiate capire ciò che avete fatto, perché non si può usare violenza gratuita contro qualcuno con il solo scopo di fare del male. Come reagireste se lo facessero a voi?».
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