«Mio fratello vittima innocente,
memoria offesa per 24 anni»

«Mio fratello vittima innocente, memoria offesa per 24 anni»
di Giovanni Mauriello
Venerdì 12 Gennaio 2018, 10:44 - Ultimo agg. 10:53
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MELITO. «Vado avanti, ma il mio cuore è sempre al buio. Dio mi ha ascoltata: ora tutti sanno che mio figlio era innocente». Teresa Cecere, la mamma di Rosario Mauriello, il 21enne ucciso per errore da killer della camorra, si portava appresso un peso da quasi un quarto di secolo. Ma a 24 anni dall'omicidio è arrivata la confessione del pentito Maurizio Prestieri: l'ex braccio destro del boss Di Lauro, in un'intervista a Roberto Saviano, ha svelato come erano andate le cose in quel primo pomeriggio dell'11 gennaio 1994. «Quel ragazzo venne massacrato per sbaglio, non era un camorrista e con il malaffare non c'entrava nulla. Fu un terribile errore di chi doveva eseguire una condanna a morte contro la vera vittima designata», le parole di Prestieri. «Una riabilitazione agli occhi di tutti, è vero, ma in noi c'è tanta rabbia». I familiari del giovane ferito a morte sotto casa, mentre si intratteneva ad ora di pranzo con gli amici, non nascondono l'amarezza per una verità raggiunta anni dopo le indagini di polizia e carabinieri, che pure furono serrate per mesi, grazie ad un collaboratore di giustizia. E solo ieri, per la prima volta, è stata celebrata una messa in memoria del giovane voluta dalle istituzioni locali per onorarlo come vittima innocente: la villa comunale, annuncia il sindaco Amente, sarà intitolata a suo nome.

«La memoria di Rosario è stata offesa per molti anni dice la sorella Lucrezia - in molti dicevano: non si uccide una persona senza motivo. Su questa vicenda c'è stata tanta omertà. Mio fratello era un bravo ragazzo, senza grilli per la testa, amava la famiglia ed era affezionatissimo alla nonna materna, che spesso stava a casa nostra. Giocava al pallone con entusiasmo e sognava di fare il poliziotto, come alcuni familiari. La nostra cameretta è rimasta così com'era quel maledetto giorno; gli oggetti sono al loro posto anche quando dopo il matrimonio ho lasciato l'appartamento di famiglia. In quell'ambiente restano i ricordi più cari, le ultime tracce di una vita spensierata».

Il racconto della sorella si ferma per un attimo, per poi riprendere come la scena di un film: «Avevo quasi 17 anni e ritornavo a casa da scuola, poco prima delle 14. Era martedì e la giornata era uguale a stamattina: cielo griogio, una pioggia leggera. Nella traversa Marrone, dove abbiamo sempre abitato, poco lontano dalla centralissima via Roma, notai un silenzio surreale. I negozi erano tutti chiusi, a quell'ora. A casa non trovai i miei familiari, eppure era ora di pranzo. Non c'era nessuno. Poco dopo alcuni parenti mi dissero che Rosario era caduto, che si era ferito alla testa. Poi man mano la terribile verità: mio fratello era stato ammazzato. Mi crollò il mondo addosso. Anche a scuola non fu facile far capire la verità ai miei compagni. Solo con il tempo è arrivata la solidarietà».

Rosario era il primogenito di una coppia felice e serena: il papà impiegato postale, la mamma casalinga. Una famiglia molto conosciuta e benvoluta. «I miei genitori l'avevano battezzato con il nome della Madonna di Pompei racconta Lucrezia perché nacque dopo quattro anni di matrimonio. Ho saputo che mia mamma invocava la Vergine perché non riusciva ad avere figli. E il suo sogno fu esaudito. Per ringraziamento alla Madonna, mio fratello venne chiamato Rosario. Fu concepito dopo quattro anni di preghiere e poi ucciso in un minuto. È tutto così assurdo». Il dolore della sorella di Rosario è ancora vivo dopo 24 anni: «Oggi, per tutti noi, è una giornata triste. In casa si piange a ogni ricorrenza. Assieme ai miei genitori mi faccio tante domande: cosa farebbe Rosario se fosse qui tra noi? Da allora si è spento ogni entusiasmo».

 

La mamma del giovane, vittima innocente di camorra, ha passato anni nella preghiera. «Una immensa fede l'ha certamente aiutata continua Lucrezia altrimenti avrebbe rischiato di impazzire. Parlava ad alta voce con Dio, anche in casa e chiedeva continuamente al Signore di essere ascoltata: Gesù, fammi la grazia, dammi un segno che mio figlio era innocente, come ho sempre creduto. Fa che la verità venga fuori». Lo sguardo di Lucrezia s'allontana, ricordando altri particolari: «Nei primi tempi, subito dopo l'omicidio di Rosario, mia madre implorava gli inquirenti perché scovassero i motivi di quell'assurda uccisione. Ricordo l'allora capitano Cortellessa, al comando della compagnia carabinieri di Giugliano, a cui erano affidate le indagini, quando diceva che dalle carte in possesso dell'Arma non risultava nulla contro il ragazzo. L'ufficiale parlava a mamma prendendola per mano. Era un modo per confortarla, un gesto di tenerezza».

La signora Teresa ha cercato la verità per quasi un quarto di secolo. Ha pregato in tutti i modi, trascorrendo intere giornate sulla tomba del figlio: «Un calvario aggiunge la sorella di Rosario ogni giorno mamma si recava al cimitero a piedi, anche sotto la pioggia. Poi dopo il mio matrimonio e la nascita dei nipotini si è dedicata a loro. Un affetto che è servita ad alleviare il suo dolore. Badava ai piccoli, ma pensava sempre a Rosario. E parlava con Dio, per quella grazia che tardava a venire, ma che poi si è materializzata attraverso la confessione del collaboratore di giustizia. Adesso la città ricorda Rosario con una funzione religiosa e di questo siamo grati a tutti».
Raccolta nella commozione degli avvenimenti, accanto a Lucrezia c'è la cugina Imma, che aggiunge altri particolari agghiaccianti: «Rosario è stato ucciso nel giorno del mio compleanno. Allora abitavo con i genitori in un palazzo vicino al luogo del delitto, in traversa Marrone. Alcune amiche erano con me in casa, per festeggiare. Sentimmo delle grida provenire dalla strada e dal balcone al settimo piano feci appena in tempo a vedere la folla che si accalcava vicino ad una persona cadita a terra. Mamma mia, urlavano, è capa bianca, è stato colpito. Mio cugino aveva una chioma biondo chiaro e lo avevano soprannominato così, capa bianca. Mi precipitai per le scale, fino ad intravedere quel corpo per terra, accanto al porticato. Chinato su Rosario c'era anche mio padre. Mi bastò fissarlo negli occhi per capire che ormai non c'era più nulla da fare. Il ricordo a questo punto sfuma, mi hanno raccontato che svenni per un malore. Mi risvegliai poco dopo nel mio letto. D'allora il mio compleanno è segnato da quella tragedia, che non dimenticherò mai più».
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