Napoli, killer a 15 anni per punire gli affiliati ribelli: nel salotto delle decisioni riceveva il clan con la mamma

Napoli, killer a 15 anni per punire gli affiliati ribelli: nel salotto delle decisioni riceveva il clan con la mamma
di Chiara Graziani
Giovedì 25 Maggio 2017, 09:33 - Ultimo agg. 26 Maggio, 08:52
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Il maschio alfa del clan era lui. Sedici anni - 15 il giorno dei fatti che Melito ricorda per la fontana di sangue ed acqua che colò lungo una tenda parasole dal quarto piano di via Giulio Cesare dove si erano consumati una sparatoria ed un massacro - Michele s'è trovato ad agire da erede naturale e coreggente. Per l'assenza - tra omicidi ed arresti - di contendenti maschi del suo rango ma anche per la sua figura di riferimento, la sola alla quale era chiamato a rispondere e che potesse tenerlo a freno: la mamma.

Mamma per lui, zia Rosaria per tutti: dove per zia si intende persona rispettata ed ubbidita dagli uomini del clan Amato-Pagano. Rosetta Pagano, la donna che aveva rimesso insieme le fila del clan - carabinieri e Procura lo danno per acquisito - fino a riprendere il controllo del traffico di stupefacenti fra l'Italia e la Spagna, a Melito disponeva e mediava. Chiedeva - ed otteneva - conto. Nel «salotto delle decisioni» - come scrivono i carabinieri del nucleo investigativo, seconda sezione, di Castello di Cisterna, comandata dal capitano Francesco Coratti - zia Rosaria si presentava con lui, il primogenito. Il maschio. Ed i fedelissimi giuravano davanti a lei ed al rampollo ragazzino, come il più sacro dei riferimenti. Lui, l'erede, interloquiva, ragionava, divideva torti e ragioni alla presenza della mamma che approvava la sua legittimazione ma molto di meno la sua fretta di sporcarsi le mani. Dalle intercettazioni e dall'impresssione degli investigatori emerge una madre protettiva, preoccupata di consolidare il ruolo di capo del figlio ma attenta a rinviare il più possibile il battesimo del fuoco. Se poi il ragazzo si metteva nei guai pestando un poveraccio, la mamma correva ai ripari, seguita da mezzo clan pronto a far sparire telecamere di videosorveglianza, rintracciare ed intimidire vittime e testimoni, ammonire le cattive compagnie che gli avevano «messo la pistola in mano».
 

 

Una di queste sarebbe stato Mohammed Nuvo, Maometto per tutti nel clan dove rappresentava un interessante esempio di integrazione di un musulmano praticante, apprezzato per costumi pii riguardo al consumo di alcol e carne di maiale («la religione più credente, davvero» dice ammirato un affiliato), ma che sarebbe arrivato ad essere troppo ingombrante sul territorio. È «Maometto», 30 anni, il primo cadavere nel quale si imbattono un anno fa i carabinieri oltre la porta dell'appartamento del massacro, inondato dall'acqua lasciata aperta in bagno e dal sangue di due uomini attirati in trappola e scannati con crudeltà. Lo stube dirà che gli hanno sparato da destra a tradimento mentre alzava le braccia. E poi in testa quasi a bruciapelo. Uno dei proiettili ha trapassato la porta, sotto lo spioncino. Alessandro Laperuta, l'altra vittima, detto Banana, 32 anni, cerca scampo sul balcone per finire freddato a colpi in faccia. Il sangue che fiorisce sulla tenda immortalata in cento fotografie è il suo che avrebbe dovuto essere con la compagna incinta per l'ultima ecografia ma che un Giuda ha consegnato all'agguato.

Per la procura presso il tribunale per i minorenni che ne ha ottenuto l'arresto, lo scempio è opera di Michele, 15 anni quel 20 giugno di un anno fa. Michele è mancino. E lo stube dirà che la sua mano sinistra è impregnata di residui da sparo e che quella destra ne porta tracce. Michele, dice il giudice che ritiene irrecuperabile l'ambiente del minore, è accusato di aver partecipato ad un'azione abietta e crudele. Con l'intenzione di eseguire di persona una sentenza interna al clan della quale era a conoscenza. Impreca un fedelissimo in un'intercettazione a caldo: «Glielo avevo detto, te lo faccio fare io quando sarà il momento».

Questo ragazzino in felpa adidas, qualche tatuaggio d'ordinanza - non di quelli che marchiano il parco buoi della camorra con i simboli del clan di appartenenza - una fidanzata di ambiente «normale» e fuori da Melito, avrebbe voluto far vedere alla mamma che il maschio di casa, ormai, era lui.
Se le cose stanno secondo le accuse della procura, condivise dal giudice che ha ordinato l'arresto, era prevedibile finisse così: un maschio alfa di 15 anni, proiettato verso un ruolo che, di fatto, nessuno gli negava. Lasciata la scuola in terza media, per Michele la vita era chiusa in un orizzonte di ferro. Senza futuri alternativi. Mohamed, che lo conosceva bene, l'aveva frequentato e talvolta spalleggiato: amici sarebbe dire troppo, ma nella casa del massacro - una casa popolare in uso di fatto ad esponente del clan - c'era probabilmente già stato. Cresciuto da una famiglia del posto «Maometto», era ammesso nelle stanze dove - secondo gli inquirenti - Michele aveva una sorta di piccolo regno personale. Dove, a 15 anni, avrebbe deciso di farsi giustizia in terra per gli uomini.

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