Materazzo, la mossa di Luca
«Bisognava indagare altrove»

Materazzo, la mossa di Luca «Bisognava indagare altrove»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 14 Febbraio 2018, 23:05 - Ultimo agg. 15 Febbraio, 09:41
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Altro che scorciatoie o richiesta di sconti e benefici. Altro che rito abbreviato e a porte chiuse, magari in vista di una confessione a cuore aperto. La mossa di Luca ha tutt’altro segno: indagate altrove, che in questa vicenda avete proceduto a senso unico, puntando sul più debole, sul più isolato, sull’indiziato numero uno, sul colpevole perfetto, quello che all’esterno appariva come uno squattrinato, un inconcludente, incapace di costruirsi un futuro. È in questa logica, che Luca Materazzo ieri ha scoperto le carte, dando inizio a una strategia destinata a portare in aula, nel corso di un processo pubblico, un pezzo del suo mondo familiare e relazionale, tra testimoni e consulenti, amici e parenti costretti a raccontare pezzi di vita vissuti all’ombra della dinasty di viale Maria Cristina di Savoia.

Ed è in questa logica, che l’imputato per il delitto di Vittorio Materazzo, ingegnere ucciso il 28 novembre del 2016 sotto casa, si appella al gup, in quella che sembra una sorta di provocazione: «Indagate altrove. Finora avete puntato solo su di me, ora bisogna ampliare lo spettro delle indagini sui computer di Vittorio, sui conti correnti personali, sulle sue relazioni lavorative, finanche su un debito contratto con il salumiere o sul contenzioso aperto dinanzi al giudice civile dalle sorelle sulla gestione dell’eredità», secondo quanto hanno chiesto ieri in aula gli avvocati Gaetano e Maria Luigia Inserra, difensori di Materazzo jr. 

Aula 410, la svolta arriva intorno alle undici: Luca Materazzo dice no all’abbreviato, ma chiede una integrazione delle prove. Tre ore dopo, è il gup Alfonso Sabella a firmare un dispositivo che accoglie solo in parte le sue richieste: viene disposto il rinvio a giudizio per il delitto Materazzo, dinanzi alla prima Corte di assise (presidente Provitera) a partire dal prossimo dieci aprile. Contestualmente però il giudice rigetta la richiesta di riaprire il processo: non ci sarà integrazione probatoria - scrive il gup - dal momento che il materiale raccolto dalla Procura è sufficiente a determinare il rinvio a giudizio. Omicidio volontario e premeditato, secondo i pm Francesca De Renzis e Luisanna Figliolia (sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso), c’è un movente economico, legato alla gestione del patrimonio di famiglia. Facile a questo punto immaginare che il tema anticipato ieri dall’imputato, su pista e moventi alternativi verrà riproposto ad aprile in Corte di assise. Stando alla difesa di Luca Materazzo, alcuni punti legati al delitto di Chiaia non sono stati esplorati e restano degni di approfondimento. Insomma, chiara è la strategia difensiva: cercate anche altrove - sembra dire Luca - in questa storia si è indagato a senso unico, la sua stessa latitanza finita in Spagna a gennaio ha eliminato la ricerca di moventi alternativi. 

 

Richieste per il momento congelate, che potranno essere riproposte dinanzi ai giudici della prima assise, in un processo in cui l’imputato rischia anche la condanna all’ergastolo. Ma torniamo all’udienza di ieri. Non sono mancati momenti di tensione, specie quando la parola è passata agli avvocati Arturo ed Enrico Frojo, che assistono Elena Grande (vedova dell’ingegnere ucciso) e i due figli orfani dell’ingegnere. Materazzo jr interrompe l’arringa dell’avvocato Arturo Frojo, tanto da essere a sua volta redarguito dal giudice. È il punto in cui il legale sta rimarcando la gravità degli indizi raccolti dalla Procura e l’opportunità di procedere ad un giudizio sulla responsabilità dell’imputato: «La nostra non è una costituzione di parte meramente formale, nella convinzione della colpevolezza di Luca Materazzo, sulla scorta dei rapporti pregressi che lo hanno spinto a commettere un delitto così odioso e sanguinario». Poi l’avvocato della vedova passa ad elencare gli insuccessi nel campo dello studio del lavoro dell’ultimo rampollo della famiglia di viale Maria Cristina di Savoia, sostenendo che in alcuni casi Luca Materazzo era stato costretto anche a fare ricorso a prestiti di amiche. Immediata la replica dell’imputato in gabbia, che ricorda di aver «superato l’esame di avvocato, tanto da essere stato tra i primi del suo concorso». Diversa invece la posizione dell’avvocato Gennaro Pecoraro, che si è costituito parte civile per conto di Maria Vittoria, Roberta e Serena Materazzo, tre delle quattro sorelle di Vittorio e Luca. Spiega l’avvocato Pecoraro: «Non condivido il movente economico legato alle vicende patrimoniali, il processo resta la sede decisiva per l’accertamento della verità, anche alla luce della posizione dell’imputato che sostiene di avere le motivazioni valide per contrastare le indagini fatte dalla Procura». Cosa accade ora? È chiaro che l’imputato farà di tutto per spostare l’attenzione anche su possibili moventi alternativi, su alcuni aspetti della vita dell’ingegnere ucciso che, a suo dire, non sarebbero state esplorati a sufficienza. È in questo senso che è stata avanzata la richiesta dei suoi legali di un nuovo accertamento tecnico sui reperti sequestrati, vale a dire sull’arma e sui vestiti trovati in vico Santa Maria della Neve dalla polizia, nel tentativo di definire la «cronologia» del rinvenimento. Ma a che serve parlare di datazione del Dna? È il tema del complotto, della macchinazione ordita da qualcuno che avrebbe trafugato gli indumenti di Luca per piazzarli a pochi passi dal luogo del delitto, orientando così le indagini su un colpevole predestinato. 
Di fatto però non c’è solo il Dna ad inchiodare per il momento l’imputato.

Contro Luca pesano anche la testimonianza di amici della vittima (che hanno raccontato il timore di Vittorio Materazzo di essere ammazzato dal fratello), ma anche di un commerciante di via Crispi che ricorda la scena di Luca Materazzo intento a lavare le tracce di sangue all’interno del suo locale, proprio la sera del delitto. Un punto, quello dei testimoni da ascoltare in aula, su cui è chiara la posizione dell’avvocato Arturo Frojo, che al Mattino chiarisce: «Reputo la scelta di essere processato con il rito ordinario una sorta di ultima spiaggia da parte dell’imputato. Di certo c’è il rischio che i testi chiave provino terrore per l’incolumità propria e dei loro congiunti. Luca Materazzo fa paura, una volta tornato libero, anche a distanza di anni, è una figura che può generare terrore». 

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