Loreto Mare. «Non hai fatto come tutti gli altri», i sanitari sapevano delle indagini

Loreto Mare. «Non hai fatto come tutti gli altri», i sanitari sapevano delle indagini
di Leandro Del Gaudio
Sabato 25 Febbraio 2017, 17:46 - Ultimo agg. 20:59
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«Perché ti preoccupi? Tu in fondo non hai fatto quello che facevano Tommaso ed Alberto, per cui di che ti preoccupi?». Parole pronunciate da una donna, la dottoressa Alabiso (in forza all'ospedale Ascalesi e comunque estranea all'inchiesta sul Loreto mare), mentre conversa al telefono con Vittorio Trivellini, quello che ha un centro clinico intestato a pochi passi dal Loreto e che risulta indagato per alcuni casi di assenteismo. Sono preoccupati, hanno saputo che la Procura ha acceso i riflettori e hanno capito che l'inchiesta è partita da un esposto. Chi può essere stato? Accuse che puntano i riflettori su casi di incompatibilità di dirigenti medici che lavorano in organico all'ospedale ma anche in cliniche private, sdoppiandosi nelle stesse manciate di ore.
 


Un colloquio fiume, che si aggiunge alle tracce che sarebbero state lasciate via Facebook dallo stesso Trivellini. Che, sul suo profilo, nel commentare il degrado della zona antistante Porta Capuana non esita a precisare che lui in quella zona ci lavora da oltre dieci anni, all'interno del centro diagnostico. Parole messe a frutto dai militari del Nas, agli ordini del maggiore Gennaro Tiano. Intercettazioni che coinvolgono la collega Alabiso, ma anche il centro Igea di Sant'Antimo di Antimo Cesaro, nel quale alcuni medici violerebbero il principio di esclusività che li lega alle rispettive aziende. Stando alla ricostruzione operata dal pm Ida Frongillo (sotto il coordinamento dell'aggiunto D'Avino), la Alabiso sarebbe in un certo senso dipendente anche dello stesso Trivellini, ovviamente presso il suo centro di diagnostica che si trova non lontano dalla stazione. Possibile? In attesa della replica della professionista napoletana, facendo sempre e comunque salvo il principio dell'innocenza di tutte le persone coinvolte fino a prova contraria, gli inquirenti indicano una intercettazione nella quale la donna ricorda al collega i suoi doveri: «Per piacere, se puoi ti ricordi i mille euro? Devo andare a pagare l'assicurazione al più presto». Una serie di conversazioni da cui emergono anche altre suggestioni, in particolare dal lavoro svolto da altri colleghi e dalla posizione ambigua di alcuni medici che si ritrovano a regime nel pubblico, ma anche in forza a strutture private. È il punto in cui la donna fa emergere alcuni contrasti avuti sul punto con altri medici: «Ho denunciato un fatto - dice la Alabiso - che dovevo fare? Dovono nascondere secondo te? Qua nessuno si permette di cambiare le date, di fare esami a pazienti che non esistono, cose del genere no...». E Trivellini insiste: «Qua nessuno si permette di fare referti a nome di altri...». Parole che fanno emergere illeciti anche su altri versanti e in altri centri clinici, dal momento che in un altro centro clinico privato, si allude alla possibilità di utilizzare i nomi di persone impiegate per formalizzare gli interventi di medici formalmente in servizio al Loreto mare.

Uno scenario caratterizzato dall'uso posticcio dei badge di servizio, ma anche dagli accessi abusivi al sistema informatico, come emerge dalle accuse rivolte a Luigi Porciello. È il sei febbraio del 2015, quando Ferdinando Collaro (indagato, per il quale non è stata applicata la misura cautelare) chiama Porciello e gli chiede di «cancellare le 25 ore di recupero che erano state assegnate alla collega De Micco»; una richiesta che fa sobbalzare Porciello, che ricorda al suo interlocutore che la De Micco è «nell'occhio del ciclone». E Porciello insiste sul punto: «Quella sta nell'occhio del ciclone, dopo vanno a fare qualche indagine e vanno a vedere pure altri dipendenti».

Ma ce n'è anche per altri professionisti, a leggere gli atti firmati dal gip Carola. È il caso di Alberto Ciamillo, dirigente medico in servizio presso il reparto di radiologia del Loreto Mare, quindi vincolato da un rapporto di esclusività con la Asl Napoli uno. Scrivono gli inquirenti: «A differenza del Trivellini e del Ricozzi (Tommaso Ricozzi - va detto - si è dimesso dalla Asl Napoli uno il 1 primo aprile del 2015, scegliendo di svolgere attività privata) non ha un proprio centro diagnostico e presta la sua attività professionale privata presso numerosi centri». È il quattro novembre del 2014, quando Ciamillo viene avvisato da un addetto del centro De Rosa del corso Bruno Buozzi, che il «giorno dopo ce ne sono 17», un numero di pazienti evidentemente così esagerato da sorprendere lo stesso medico che si lascia andare a una esclamazione: «Ma che hai fatto? Hai acchiappato amici e parenti?».

Ore di appostamento da parte dei militari, ma anche telecamere nascoste, che prendono di mira - tra gli altri reparti - anche il dirigente medico di radiodiagnostica in servizio presso il reparto di neuroradiologia Francesco Vincenzo Iura e la collega Luisa De Bellis. Questioni di ritardi o di anticipata uscita dall'ospedale - scrive il gip Pietro Carola - sempre e comunque grazie a un gruppo di professionisti nella strisciata dinanzi al badge.

Non mancano altri filoni da battere, come quelli delle finte malattie, che emergono sempre e comunque grazie al sistema di intercettazione disposto in questi mesi. È il capitolo delle false infermità, che riguarda in questo caso Eugenio Varriale e Carmela Angrisani: il primo riesce a convincere la segretaria di uno studio medico a rilasciare un certificato per una laringotracheite acuta, un pezzo di carta con il quale riesce a marcare visita e ad entrare in malattia. Al telefono - scrivono gli inquirenti - si ricostruisce il tragitto del Varriale in giro nel Casertano, comunque in condizioni di potersi muovere autonomamente. Anche questo filone è destinato a nuovi accertamenti del Nas.
 

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