Lello, morto a 21 anni per fare da paciere in una lite

Lello, morto a 21 anni per fare da paciere in una lite
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 7 Ottobre 2018, 22:45 - Ultimo agg. 8 Ottobre, 10:31
4 Minuti di Lettura

Morire a vent’anni senza un perché. Raffaele Perinelli aveva dimenticato la parola «dolore»: lasciandosi faticosamente dietro le spalle il passato, ma soprattutto l’uccisione del padre Giuseppe, fatto ammazzare alla Sanità dai clan Misso e Torino. Raffaele, questo almeno dicono i primi riscontri investigativi, era lontano da quel mondo popolato da mezze tacche, gregari e boss di camorra. Ma quel che è successo sabato sera tra via Caprera e via Janfolla, quell’incontro fatale con il suo presunto assassino, non è un episodio casuale. E per comprendere meglio tutta la vicenda bisogna partire da quel che è accaduto qualche giorno fa, all’esterno di una discoteca.
Vittima e carnefice si conoscevano già. Erano residenti nella stessa zona, il primo abitava non lontano dal secondo. Una settimana fa - domenica notte per l’esattezza - entrambi, ciascuno con le rispettive comitive, si trovavano a Coroglio in un noto locale notturno. Come purtroppo accade ormai sovente, all’esterno della discoteca si scatena una lite tra giovani: tra i litiganti c’è anche Alfredo Galasso.  
Non è ancora chiaro il motivo per il quale nella ressa generale finisca per inserirsi anche Raffaele Perinelli: pare, però, che il ragazzo - estraneo al gruppo dei contendenti - abbia tentato di fare da paciere. Un gesto che Galasso non avrebbe apprezzato, se è vero che - alla fine - il 31enne inizia a litigare anche con l’ex calciatore: poi, in un impeto d’ira, Galasso schiaffeggia Raffaele, che reagisce colpendo a sua volta l’ambulante. Qualcuno separa i due, la cosa sembra essere finita lì. Ma così non è.
L’INCONTRO
Da quella sera Galasso sostiene di avere avuto paura per le possibili conseguenze di quel precedente. «Per questo sono uscito con il coltello, per difendermi». Ma da che cosa? E da chi? Ci vuol poco a capirlo: l’uomo teme ritorsioni per quei ceffoni dati a un ragazzo peraltro fisicamente più prestante di lui. A complicare tutto, a far scoccare la scintilla della tragedia, ci penserà il caso. O forse no, chissà (le ricostruzioni investigative si fermano, finora, alle dichiarazioni rese dall’arrestato). I due si incrociano sabato sera: Raffaele è in sella alla sua moto, Galasso in macchina. Forse uno dei due pronuncia qualche frase minacciosa, o forse è sufficiente solo uno sguardo di troppo. Fatto sta che i due si affrontano di nuovo, e stavolta spunta la lama di quel coltello assassino che trafigge il cuore del calciatore.
IL RAGAZZO
Raffaele Perinelli - 21 anni, incensurato - era stato portato via dal Rione Sanità molto tempo fa. Dopo l’uccisione del papà per mano della camorra sua madre aveva deciso di tagliare i ponti con il passato, trasferendosi a Miano, il quartiere d’origine. Raffaele era cresciuto bene: incensurato, aveva conseguito il diploma e coltivava la sua passione di sempre, quella per il calcio. L’ultima squadra nella quale aveva giocato era il Gragnano (ieri gli ex compagni gli hanno dedicato un toccante messaggio sul campo e anche i giocatori della Turris). Il ragazzo viene descritto da tutti come un giovane senza grilli per la testa: al mattino presto usciva per lavorare con la mamma, dipendente di una ditta di pulizie, in servizio anche all’Università Federico II a Fuorigrotta.
LA MADRE
«Voglio giustizia per mio figlio, era un bravo ragazzo»: non si dà pace la mamma, Adelaide Porzio. In casa è un continuo andirivieni di amici e parenti. «Mio figlio amava giocare a calcio e lavorava insieme a me in una ditta di pulizie, chiunque nel quartiere può dirvi che era un angelo». La donna rivolge anche un appello ai testimoni del litigio avvenuto in discoteca tra Lello Perinelli e quello che poi sarebbe divenuto il suo assassino: «Ragazze, se avete visto parlate».
(ha collaborato Andrea Ruberto)

© RIPRODUZIONE RISERVATA