Ischia, l’isola spensierata di mio zio chansonnie

Ischia, l’isola spensierata di mio zio chansonnie
di Mauro Calise
Venerdì 25 Agosto 2017, 00:00 - Ultimo agg. 08:33
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Il tempo, si sa, è galantuomo. Passata la nube tossica dei sensazionalismi mediatici, il dramma di questi giorni ritroverà le dimensioni appropriate.

Con l’accertamento doveroso delle responsabilità ma anche, altrettanto doveroso, il riconoscimento che Ischia non è – e non sarà – un’isola a rischio. Non più, comunque, di quanto già lo sia la nostra vita quotidiana in ogni angolo di questa penisola benedetta dall’arte e dal sole, e un po’ meno da noi italiani. Però, inutile nascondercelo, la ripresa sarà in salita. Ci vogliono decenni a costruire un’immagine – in politica come nel turismo – e basta un episodio sciagurato a comprometterla. Però. Questa può essere anche l’occasione per avviare una riflessione sull’identità di quest’isola. Cambiata profondamente nel volgere degli ultimi trent’anni. E che andrebbe ricalibrata, forse, in una direzione diversa. Più vicina all’identikit che fece la fortuna dell’Isola verde nel corso degli anni Cinquanta, proiettandola sul palcoscenico internazionale.

È un’immagine – un’atmosfera – che ricordo bene. Per averla assorbita nel rapporto privilegiato con un personaggio che di quella Ischia fu il mattatore e il simbolo, mio zio Ugo. Il cantautore di ‘Na voce, ‘Na chitarra e ‘o poco ‘e luna. Sfogliando l’archivio di famiglia, il primo ritaglio a stampa fotografa la sfida tra le due isole del golfo. E’ il 1955. Capri da decenni è la meta delle elites europee. Ischia risponde lanciando un sound moderno, aprendo night di successo, richiamando una borghesia protagonista del nascente miracolo italiano: «Quando Ugo prendeva la chitarra, gli stranieri (inglesi, americani, scandinavi) sembravano trattenere il respiro. I milanesi (sono arrivati anche qui, tutti dinamici e pieni di iniziative) ancora sulla loro, ma già pronti a mollare, a sciogliersi». Passa qualche anno, e il cavaliere Rizzoli – personaggio chiave del decollo economico dell’isola – usava chiudere e riaprire le serate «proclamando ai suoi commensali, puntuale a mezzanotte meno un quarto: io vado a sentire Ugo Calise. Chi vuole, mi segua».

La chiave di quell’exploit era nel tono intimista della voce, e della musica che la accompagnava. Sulla scia degli chansonnier francesi, e anticipando quelli italiani che avrebbero spopolato qualche anno dopo. ‘O sole mio appena sussurrato, che spiazzava decenni di interpretazioni tenorili. E Munasterio che si arrampicava struggente: “Ccá ce stess’uno ca ll’è caduto ‘o core ‘mmiez’a via?”… Negli anni, era diventata più calda. Lievemente arrochita. Un’eco di Armstrong, che affiorava in tanti passaggi delle sue melodie. La voce di Ugo suonava anche senza la chitarra, quando chiamava dalla stanza accanto, o al telefono dalla sua casa romana. Dopo i faboulous fifties – il «cantante delle regine» tra Wimbledon e casa Agnelli, lo sguardo incantato di Jackie, il sorriso ammaliato di Sofia - Ugo si era ritirato a Roma. Lui e la sua musica jazz, che per primo aveva innestato nel palinsesto della canzone d’autore napoletana. Una terrazza su Monte Mario, e una girandola di artisti eccellenti. Da Chet Baker a Teddy Wilson, l’appuntamento romano obbligato era una serata con Kalais. Il pollice della sinistra - un tocco di molti autodidatti - che interveniva ad addolcire la profondità dei bassi, il timbro inconfondibile della sua Piretti. E il flicorno di Cicci Santucci con l’a solo di Nun è peccato…
 


Il sound americano e la voce ‘e night – nelle parole di Pasquale Scialò - con cui Ugo aveva rivoluzionato la nostra musica sarebbero tornati a germogliare, vent’anni dopo, nella magia di Pino Daniele. Ischia, nel frattempo, aveva imboccato altri percorsi. Andando incontro alla cultura di massa, aprendo le proprie spiagge – e colline – all’invasione di un turismo alla ricerca soprattutto di divertimenti usa-e-getta. Un processo forse inevitabile. Anche se la componente più avvertita dell’imprenditoria isolana ha cercato di mitigarlo con l’offerta – molto più qualificata – dell’accoglienza termale. Parchi incantati come Poseidon e Castiglione, e un reticolo fittissimo di spa, praticamente in ogni pensione, che fanno di Ischia un unicum nel circuito globale del wellness.

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