I calciatori azzurri
e le cattive compagnie

di Pietro Gargano
Venerdì 23 Giugno 2017, 08:12 - Ultimo agg. 08:42
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La parabola lucente di Diego Armando Maradona cominciò a precipitare nel 1986, il giorno in cui apparvero le sue fotografie in casa Giuliano a Forcella, celebre quella nella vasca da bagno a forma di conchiglia in compagnia del latitante Luigi ‘o Lione. Un’altra immagine di Maradona a Napoli è apparsa quest’anno, nel mese di gennaio dell’esibizione al San Carlo. In testa il cappelluccio sponsorizzato, sta in mezzo a un grappolo di sette ammiratori, tra loro i fratelli Gabriele, Giuseppe e Francesco Esposito, imprenditori di Posillipo, arrestati ieri per trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante di aver voluto agevolare le attività criminali dei clan della camorra. I tre germani si sono fatti riprendere con altri calciatori del Napoli di oggi e hanno divulgato sui social le foto dei «cari amici» con grande soddisfazione. Gli azzurri, bene precisarlo subito, non sono sospettati né tanto meno accusati di niente. E tuttavia resta la brutta sensazione di un passato che ritorna, senza aver insegnato a evitare i pericoli di un vita troppo dolce, fuori dello stadio.

Si capisce perché questi contatti li cerchi chi sta al di là dei confini della legge, è una gratificazione, un segno di potere, forse perfino un indizio di appartenenza alla città attraverso i suo simboli popolari. Molto meno si capisce perché i giocatori si lascino risucchiare in questa zona di opaca contiguità. Non si può certo pretendere che abbiano letto il libro sulla malavita napoletana di Marc Monnier che nel 1827 già tracciava uno schema preciso: «Il tabacco, il vino, il giuoco, erano in poter della camorra. Così il danaro, che la setta avea pagato per togliere ai detenuti la lor veste nuova o il loro vitto, tornava fatalmente alla setta, la quale speculava sui piaceri dopo aver speculato sui bisogni».

Si può però esigere che abbiano almeno saputo delle disavventure di Maradona, del mistero dello scudetto 1987-1988 perso a vantaggio del Milan in un suicidio pallonaro, con la scia maligna di voci su forti scommesse in mano a uomini di rispetto. O della lunga serie di furti subiti da campioni azzurri. O delle visite del difensore Fabiano Santacroce a un uomo agli arresti domiciliari per fatti di droga. O della presenza di boss ai bordi del campo. O degli striscioni che uno di questi signori espose a sostegno di Ezechiele Lavezzi, in cambio della promessa di non lasciare il Napoli. I piaceri proposti dalla camorra ottocentesca per lusingare sono cambiati, ora la parola d’ordine è movida. Locali di moda, lusso, ville azzurre di piscina, discoteche, donne con più curve di un autodromo.

Un campione non è un intellettuale, è giovane e da certi ambienti è attratto. Non sono più i tempi di Lombroso, un malvivente non ha cicatrici sulla faccia, veste elegante e si può confondere nel bel mondo. Però un campione dovrebbe imparare a fiutare i rischi, soprattutto in una città come Napoli, e rifiutare certi inviti e certi posti almeno sospetti. Uno dei tre Esposito aveva avuto una condanna a sette anni come affiliato del Clan Sarno. Evidentemente non lo sapeva Gonzalo Higuain, che si è fatto immortalare con lui e gli altri con due dita aperte in segno di vittoria. Non lo sapeva Pepe Reina, del quale uno dei tre ha raccontato: «Ero a casa sua, la Roma lo chiamò e gli propose più soldi del Napoli e lui non aveva nemmeno il contratto, ma rifiutò».

Non lo sapevano Callejon, Paolo Cannavaro, Christian Maggio, due mondi così distanti sono diventati vicini.
E meno male che le uscite serali dei portacolori del Napoli sono calate dall’arrivo di Maurizio Sarri, che telefona e controlla molto più dell’umanista e tollerante Benitez, turista a Napoli senza mai sporcarsi le scarpe. Fatto sta che un calciatore è come la moglie di Cesare, oltre che essere onesto e pulito deve mostrarlo perché è sotto gli occhi di tutti e, a rifletterci, ha perfino un ruolo di esempio nei confronti dei giovani. Meno feste, meno vacanze esotiche, compagnie selezionate non sono poi sacrifici enormi. La società può aiutare, vigilando con discrezione.
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