Gaetano, le frasi choc del branco
«Stasera ho voglia di pestare uno»

Gaetano, le frasi choc del branco «Stasera ho voglia di pestare uno»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 15 Gennaio 2018, 11:50 - Ultimo agg. 17:31
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Doveva finire in quel modo, con un ragazzo a terra con la faccia sanguinante e i suoi amici in fuga. Doveva andare così, perché era quella la missione del capetto, del ragazzino che venerdì pomeriggio ha chiamato a raccolta il proprio gruppetto di amici, per atteggiarsi a boss in erba e rimarcare la propria leadership. Un particolare agghiacciante che emerge dalle indagini condotte per incastrare il branco che a Chiaiano ha rischiato di uccidere Gaetano, studente minorenne, ennesima vittima sacrificale sull'altare della esaltazione e della vigliaccheria collettiva.

Eccolo il retroscena messo agli atti al termine dei primi interrogatori dei presunti responsabili della rappresaglia avvenuta all'esterno della stazione della metropolitana di Napoli nord, grazie al lavoro della polizia, sotto il coordinamento della Procura minorile. Lesioni gravissime, uno scenario investigativo abbastanza chiaro: ci sono dieci minori identificati, quattro di questi sono stati denunciati e interrogati fino a tarda notte - tra sabato e domenica -, assistiti da un avvocato e, come previsto dalla legge, anche dai rispettivi genitori.
Ed è proprio dalla presenza delle madri e dei padri di almeno tre minori indagati che emerge uno spettacolo vergognoso, a dispetto della gravità delle indagini, con un ragazzino in sala di rianimazione, dopo essere stato pestato senza un motivo. Adulti, al cospetto della legge, dunque, cosa fanno mamma e papà? Zittiscono ripetutamente i figli, quando capiscono che stanno per ammettere qualcosa di compromettente per sé e per gli altri del branco. È così che tre coppie di genitori su quattro chiedono ai figli di «avvalersi della facoltà di non rispondere»; poi se la prendono con l'avvocato quando sembra che stia venendo fuori la verità su quel maledetto pomeriggio alle porte di Napoli.

Ma torniamo alla ricostruzione dei fatti, secondo quanto emerge dal lavoro dei poliziotti di due commissariati (Scampia e Chiaiano, guidati rispettivamente dai dirigenti Bruno Mandato e Sergio Di Mauro), sotto il coordinamento del pm dei minori Emilia Galante Sorrentino.

Venerdì pomeriggio, dunque, a prendere l'iniziativa è un ragazzino di quindici anni. Mingherlino, si atteggia a capo. Chiama alcuni amici, li invita a scendere in strada, invocando la loro presenza al citofono. Qual è il motivo di tanta fretta? Perché invitare in strada una decina di ragazzini in fretta e furia?
A spiegarlo agli inquirenti sarà uno dei ragazzini presenti sul posto venerdì pomeriggio, uno studente che decide di rompere il muro di silenzi e idiozia che mediamente protegge gli aspiranti capi. Ha saputo delle condizioni di Gaetano, ne ha parlato con i genitori e ha trovato terreno fertile. Stando a quanto riversato agli atti, il bulletto aspirante boss in erba aveva le idee chiare: «Devo spaccare la faccia di qualcuno, ora vi faccio vedere come picchio qualcuno, andiamo alla metropolitana...».
 
Ma il resto della serata lo raccontano le immagini delle telecamere, che offrono un «prima» e un «dopo» rispetto all'aggressione subita da Gaetano. Immagini impietose: si atteggiano a bulli, sono una decina, ostacolano il passaggio dei passeggeri, nel via vai di un venerdì sera rispetto all'unico mezzo di collegamento tra centro e periferia. Cosa accadrà in quei minuti viene fuori poi dal racconto di uno dei ragazzi, che - quasi come una mosca bianca - parte da un presupposto: «Mi vergogno per quello che è successo a un mio coetaneo».
Il resto è storia nota. Quando Gaetano e i suoi due cugini entra nell'orbita del branco non ha speranze. «Di dove sei?», gli domanda quello che cercava rogne. E giù calci e pugni. Fino al colpo che rischia di uccidere un 15enne di Melito, uscito per una passeggiata assieme ai due familiari.
Ma non è tutto. La scena del pestaggio di Gaetano riserva ancora particolari irritanti. Se sono in quattro a picchiare, gli altri - circa una decina in tutto - non restano fermi: guardano, ma fanno massa, circondano, chiudono le vie di fuga, impediscono altri interventi. Tutt'intorno a quella scena, invece, nessuno si muove. Gli adulti sono come fantasmi. Ci sono vigilantes che lavorano per una ditta di sicurezza privata, passanti, gente che staziona sulle panchine o non lontano dalla «villetta», zona di verde urbano. Nessuno interviene, al punto che Gaetano riesce da solo a recuperare le forze e a guadagnare la fuga in un bar, dove arrivano i primi soccorsi. Ma torniamo alle telecamere. Subito dopo l'aggressione, quelli del branco non si allontanano. Sono ancora lì, tanto che qualcuno se ne va a rifocillarsi in una rosticceria, va a mangiare un panino dopo aver ridotto in fin di vita un coetaneo, aggredito da almeno quattro ragazzi più grandi di lui. Qualcun altro invece resterà a presidiare l'aiuola usata come simbolo della propria (ridicola) leadership territoriale. Passano ancora pochi minuti, il gruppetto si disperde, si torna a casa, dove nella giornata di sabato busseranno gli agenti di polizia. Convocazioni, audizioni di testimoni, interrogatori di indagati. Nessun fermo, nessun arresto, come ha chiarito ieri il Questore Antonio De Iesu.
Ma come si è comportato l'aspirante capobranco di fronte a pm e agenti? All'inizio si mostra preoccupato, prova a farfugliare qualcosa senza neanche troppa convinzione, fino a quando non intervengono i genitori, forti di una conoscenza giuridica evidentemente acquisita sul campo: «Se mio figlio è indagato, non deve rispondere, si può avvalere...», dice uno dei genitori con qualche precedente penale per estorsione. E ancora: «Statti zitto, qui non devi parlare più...». Intanto, ieri Gaetano ha ricevuto la visita dell'assessore alle politiche sociali del Comune di Napoli Alessandra Clemente: resta sotto osservazione in ospedale, al San Giuliano di Giugliano, mentre i suoi compagni di classe preparano una fiaccolata contro la violenza dei minori e l'omertà dei loro genitori.
 
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