Fondazione Banconapoli:
la guerra infinita al vertice

Fondazione Banconapoli: la guerra infinita al vertice
di Federico Monga
Domenica 25 Giugno 2017, 07:27 - Ultimo agg. 21:00
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Ormai è chiaro che all'interno della Fondazione Banconapoli è in corso una lotta di potere senza precedenti negli ultimi anni. In ballo non c'è solo la strategia e la guida dell'ente morale di via dei Tribunali ma anche la nascita e lo sviluppo di un polo bancario del Sud. Una disfida fatta di esposti, anche alla magistratura, veleni, rapporti professionali e personali messi a dura prova.

Al centro della contesa l'attuale gestione della Fondazione (in particolare l'investimento nella Banca Regionale di Sviluppo) e la soluzione dell'annosa vicenda della Sga, la società di scopo che la Banca d'Italia, su mandato del governo in carica, nel 1995 istituì all'interno del piano di salvataggio del Banco di Napoli. L'obiettivo era di liberare l'istituto, allora indipendente e leader nel Mezzogiorno, dal fardello dei crediti alle imprese ritenuti difficili o impossibili da riscuotere per poi procedere alla vendita della parte sana.

Sono già stati chiamati in causa e saranno chiamati ancora a esprimersi nei prossimi mesi l'Autorità nazionale per la lotta alla corruzione, presieduta da Raffaele Cantone, il Ministero del Tesoro, guidato da Pier Carlo Padoan e la Banca d'Italia di Ignazio Visco in qualità di organi di vigilanza. Sono coinvolti (a vario titolo) professori universitari, professionisti, imprenditori e manager tra i più in vista in Campania e nel Mezzogiorno. Daniele Marrama, presidente della Fondazione Banconapoli; il suo grande accusatore Francesco Fimmanò, professore ordinario di diritto commerciale all'Università del Molise e avvocato di importanti imprenditori, indicato dal governatore della Regione Campania Vincenzo De Luca come membro del consiglio generale all'interno della Fondazione ma respinto dall'organo di indirizzo dell'ente; il professore Gianmaria Palmieri, rettore dell'ateneo di Campobasso; il noto amministrativista Orazio Abbamonte, consigliere in Banconapoli su indicazione della Città metropolitana guidata dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris; il direttore generale della Fondazione Antonio Minguzzi, docente di Economia gestionale nell'università molisana; il professor Adriano Giannola, già alla guida della Fondazione e attualmente presidente della Svimez, l'associazione di ricerca e studio sul Mezzogiorno; gli imprenditori Gianni Punzo, socio ed ex vice presidente della Banca Regionale di Sviluppo e Carlo Pontecorvo, patron dell'impero della acque minerali Ferrarelle ed ex presidente della Brs. Una vicenda intricata con molte angolazioni che è bene cercare di rimettere assieme per comprendere meglio cosa e soprattutto quanto, in termini di potere e denaro, sia in ballo.

Partiamo dalle ultime settimane e dalla lunga serie di esposti che il professor Fimmanò ha inviato nell'ordine all'Anac, al ministero del Tesoro e alla Banca d'Italia. Il docente - la cui nomina all'interno del consiglio generale della Fondazione non è stata accolta dagli altri consiglieri con il rilievo di possibili conflitti d'interesse ma anche per alcune sue forti prese di posizione pubbliche sull'ente prima del suo insediamento - accusa Marrama di aver investito in maniera non prudenziale, e quindi andando contro quanto stabilito dallo statuto della fondazione, parte del patrimonio in società bancarie con profili di rischio troppo elevati. In particolare, nei documenti inviati alla Banca d'Italia e alla quarta commissione del Mef che si occupa di salvataggi bancari e controlla le fondazioni di origine bancaria, Fimmanò punta il dito contro la partecipazione al piano di ricapitalizzazione della Brs che ha comunque ricevuto il via libera di Bankitalia. L'investimento di circa otto milioni ha portato la Fondazione Banconapoli a essere il primo azionista con il 29,9% delle quote. Durante il consiglio generale dell'aprile scorso che ha approvato il bilancio 2016 della Fondazione (con dividendi, introiti ed erogazioni a enti sociali e culturali in crescita rispetto al 2015), la voce di Fimmanò non è rimasta isolata. Rilievi e dubbi sono stati sollevati, attraverso una lettera fatta pervenire e letta dal presidente Marrama durante la riunione, anche dai consiglieri Palmieri e Abbamonte, figlio del professore Giuseppe, deceduto poche settimane fa, che con Roberto Marrama, padre di Daniele, ha dato grande lustro alla scuola di diritto amministrativo napoletana. Il rettore dell'Università del Molise è andato oltre le parole e ha presentato le sue dimissioni.

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