Ex camorrista, oggi è capotreno Eav. «Cambiare vita si può: devi volerlo»

Pirone con don Manganiello
Pirone con don Manganiello
di Giuliana Covella
Lunedì 11 Giugno 2018, 07:55 - Ultimo agg. 07:58
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​«Come sono uscito dal tunnel in cui ero piombato? Quando ho capito che dovevo garantire un padre sano, forte e onesto ai miei figli». Marco Pirone, 41 anni, di Scampìa, sposato e papà di due bambini di 12 e 13 anni, ha un passato da tossicodipendente e da autista di boss degli Scissionisti. Fino a una decina di anni fa la sua vita si svolgeva tra droga e cattive frequentazioni, «anche se - precisa - non mi hanno mai costretto a fare nulla. Dovevo solo accompagnarli dove mi chiedevano». Oggi Marco ha un lavoro di responsabilità come capotreno dell’Eav, che si è guadagnato con le sue forze e fa l’allenatore di calcio per i piccoli dell’Arci Scampìa. «Perché - come lui stesso ammette - se si vuole si può cambiare». Una storia di riscatto che ha deciso di raccontare in un libro.
Perché ha scelto di mettere nero su bianco la sua storia?
«Per me è stato terapeutico scrivere. Nel senso che ho tirato fuori tutto ciò che avevo dentro dopo anni di sofferenza. Quando uscirà sarà una liberazione». 
Qual è il titolo?
«“Occhi lucidi - l’infanzia a Scampìa”».
Perché questo titolo?
«“Occhi lucidi” sono quelli che ha spesso chi fa uso di droghe. E Scampìa è il quartiere dove sono nato e vivo tuttora. Una Scampìa diversa da quell’unica faccia della medaglia che viene descritta. La mia storia ne è la dimostrazione». 
Prima della svolta lei ha condotto un’esistenza allo sbando, all’insegna degli eccessi, a contatto con camorristi.
«Fino a quando è nato il secondo figlio, ho avuto due vite parallele. La prima con la mia famiglia. La seconda come un uomo dipendente dalla droga. Poi i legami con alcuni clan della zona».
Che ruolo aveva esattamente?
«Nessuno in particolare. Cioè non ho mai fatto parte di una gerarchia malavitosa. Guidavo un’auto per loro, che - sia chiaro - non sapevano nemmeno che io mi drogassi. Mi chiedevano di accompagnarli in determinati posti ed io mi limitavo a questo».
Come si fa a non avere paura di rimetterci la vita?
«Sin da quando ero piccolo ho avuto amici che poi sono diventati boss potenti. Di questi qualcuno è morto ammazzato, altri sono tuttora in carcere o sono rimasti feriti in agguati. Io sono stato l’autista di molti di questi, ma a un certo punto ho scelto di andare via da Napoli per un periodo».
Quando?
«Durante la faida di Scampìa, nei primi anni Duemila, mi sono trasferito con la mia famiglia a Bolzano e lì mi sono reso conto che tra quelle decine di morti in quella guerra di camorra avrei potuto ritrovarmi anche io».
Poi?
«Sono tornato a Napoli e il Signore mi ha dato una seconda opportunità. La fede mi ha aiutato ad uscire dal baratro in cui tornavo sempre a piombare. Fondamentale per me è stato l’incontro con un uomo di chiesa straordinario, don Aniello Manganiello, che ha fatto il parroco a Scampìa per 16 anni e ha cercato di cambiare questo quartiere, facendo redimere finanche i boss».
Una volta tornato a Napoli ha avuto l’opportunità di avere un lavoro onesto, che si è guadagnato altrettanto onestamente. Come?
«Sono riuscito ad entrare in una ditta di pulizie in quella che all’epoca era la Cumana. Lavoravo ai passaggi a livello. Poi con gli anni sono stato assunto dopo un regolare concorso interno e grazie alle mie capacità sono diventato capotreno dell’Eav. Ho vinto su 20 concorrenti e nonostante le difficoltà e i pregiudizi non mi sono mai arreso».
Come si svolge il suo lavoro?
«Lavoro sulla linea della Circumvesuviana Napoli-Sorrento, dividendomi su 27 turni insieme agli altri colleghi, dalle 5 alle 23. Mi sento carico di responsabilità, perché a me compete la sicurezza dei viaggiatori, oltre all’assistenza dei passeggeri e alla viabilità ferroviaria. In più siamo a contatto con molti turisti, per cui abbiamo dovuto seguire un corso per imparare l’inglese».
Quale messaggio vuole dare ai ragazzi nelle scuole dove porterà il libro?
«La forza di volontà è l’unica che può aiutarci a cambiare».
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