Emergenza rifiuti in Campania, impianti promessi e svaniti: venti anni di sconfitte

Emergenza rifiuti in Campania, impianti promessi e svaniti: venti anni di sconfitte
di Daniela De Crescenzo
Domenica 18 Novembre 2018, 08:00
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Nella tombola dei rifiuti campani da ventiquattro anni si gioca con numeri truccati. A vincere nel frattempo sono sempre i clan.

È il 1994 quando il governo Ciampi, dichiarato lo stato di emergenza per la gestione dei rifiuti campani, nomina il primo commissario, il prefetto in carica Umberto Improta. Nel 1996 i poteri si ampliano e passano al presidente della Regione che in quel momento in Campania è Antonio Rastrelli del centrodestra. Ed è la sua amministrazione che organizza il bando di gara per appaltare la gestione di un ciclo integrato dei rifiuti. Le procedure vanno avanti con Andrea Losco (Udeur) e vengono concluse da Antonio Bassolino che dà il via a un piano che prevede due termovalorizzatori e sette impianti produttori di combustibile da rifiuti, affidando il tutto a un consorzio di ditte formato da cinque imprese associate alla Impregilo.

È l'impresa a scegliere come sede degli inceneritori Acerra e Battipaglia. La decisione viene contestata dagli abitanti che scendono in piazza, ma nel 2004 si apre il cantiere. Contemporaneamente si decide di spostare l'altro bruciatore a Santa Maria la Fossa. I Cdr, però, non riescono a produrre materiali con il potere calorifico previsto e in attesa di realizzare l'impianto di Acerra si autorizza il deposito delle balle. Venti anni dopo si conteranno quasi sei milioni di tonnellate di spazzatura incellofanata. La crisi è sempre più difficile da governare e cominciano a partire i treni della speranza imbottiti di sacchetti diretti in Germania. Il ciclo viene affidato ai consorzi dei Comuni che fanno assunzioni di massa e creano le società miste con i privati: quella formata con i fratelli Orsi nel casertano finirà nel mirino dei magistrati facendo partire un'indagine che porterà in carcere, tra gli altri, l'onorevole Nicola Cosentino. Uno dei fratelli Orsi, Michele, invece, sarà ucciso dai killer di Giuseppe Setola.

I rifiuti si mischiano al sangue. Intanto, il contratto con Impregilo viene disdettato e i lavori ad Acerra in pratica si fermano. Il tempo passa e nel 2008 non si sa più dove depositare i sacchetti.
 
Scoppia la grande emergenza con inviati di tutto il mondo pronti a fotografare piramidi di spazzatura, barricate e incendi. Nel 2008 Berlusconi vince le elezioni e tiene a Napoli la prima seduta del consiglio dei ministri dichiarando gli impianti dei rifiuti Siti di interesse nazionale presidiati dall'esercito. La gestione del termovalorizzatore passa ad A2A che lo inaugura nel 2009 e si aprono discariche a Cava Sari (Terzigno), Chiaiano, Savignano, Sant'Arcangelo Trimonte, San Tammaro, Serre.

Nel 2010, però arriva la multa europea (120 mila euro al giorno) praticamente in contemporanea a una nuova crisi: bisognerebbe raddoppiare la discarica di Terzigno consegnando ai rifiuti anche cava Vitiello, ma scoppia la rivolta. Nuove barricate, nuovi incendi e Berlusconi desiste: quella discarica non si deve fare. Ripartono i treni, i bus, le navi. La Provincia di Napoli stabilisce che quelli che escono dagli stir (ex Cdr) sono rifiuti speciali e che quindi per esportarli non è necessario l'accordo delle altre regioni. È il liberi tutti, e i sacchetti campani invadono la penisola. Il 31 dicembre del 2009 Berlusconi dichiara chiusa l'emergenza e lascia un programma che prevede altri tre termovalorizzatori da aprire a Salerno, Napoli est e Giugliano (quest'ultimo per bruciare le ecoballe) e un gassificatore nel casertano. Cambiano anche le competenze e a gestire il ciclo vengono chiamate le società provinciali che dovrebbero assumere anche i dipendenti dei consorzi. Viene varata e subito dimenticata una pianta organica e i lavoratori lavorano solo in alcuni cantieri. Gli altri aspettano. I sindaci, però, non vogliono cedere competenze e dopo una dura battaglia riconquistano la raccolta della spazzatura, ma non per il trattamento e lo smaltimento.

Nel 2010 in Regione arriva Stefano Caldoro che con l'assessore Giovanni Romano vara un piano che si muove nel solco tracciato da Berlusconi: differenziata al 50 per cento (con obiettivo finale al 65 previsto dalla legge Ronchi), compostaggio e inceneritori. Ma intanto a Napoli è diventato sindaco Luigi De Magistris che con il vicesindaco Tommaso Sodano si pronuncia subito contro l'impianto. A Salerno Vincenzo De Luca invoca un inceneritore e bandisce la gara. Poi viene scelto come commissario il presidente della Provincia e le cose si complicano: all'impresa affidataria non viene garantito il conferimento obbligatorio dei rifiuti da parte dei comuni e la gara va deserta, la Provincia bandisce una seconda gara e l'assegna, ma intanto De Luca ha cambiato destinazione all'area.

Caldoro cancella il termovalorizzatore di Napoli est, il commissario per Giugliano vede andare deserte le gare, del gassificatore si dimenticano tutti, e le cose restano praticamente come prima: un termovalorizzatore ad Acerra e viaggi a gogo. L'unico passo in avanti lo registra la raccolta differenziata che, grazie anche al sostengo regionale, comincia finalmente a salire (dal 28 per cento del 2009 si arriva al 49,4 per cento del 2015) portando la Campania in testa alla classifica delle regioni meridionali. Non è un gran record (le altre non arrivano al venti per cento), ma è già qualcosa. Parte anche l'unico (per il momento) impianto di compostaggio pubblico: quello di Eboli.

Nel 2015 arriva De Luca che con il vicepresidente Fulvio Bonavitacola punta sulla differenziata e sugli impianti di compostaggio. Il suo piano, sottoposto a Bruxelles, non prevede inceneritori, ma solo discariche per gli scarti e per gli inerti, senza individuarle. Si finanziano i Comuni che arrancano con la raccolta: avranno personale (quello dei consorzi di bacino) e attrezzature. Si progettano impianti di piccole dimensioni (la prima gara è partita a Pomigliano) e impianti più grandi negli Stir, che però ancora non sono decollati. Ma la carta vincente di De Luca sono le ecoballe: riceve 450 milioni dal governo Renzi e promette che le tonnellate di rifiuti che ancora riposano sulle piazzole spariranno presto. Il primo step prevede di mandare i pacchetti di spazzatura all'estero, ma il mercato è ormai saturo e le ditte che vincono l'appalto non riescono ad onorare i contratti. La seconda e la terza tappa contano su due impianti per lavorare le balle, uno a Caivano e l'altro a Giugliano. Le gare sono ancora in corso.

E i sacchetti continuano a viaggiare: vanno in Portogallo, in Austria, in Lombardia, in Veneto, in Puglia.

Ma i tour diventano sempre più cari: anche il Lazio, la Liguria, la Sicilia hanno cominciato a esportare spazzatura. La concorrenza è spietata. Pure gli impianti del Nord Europa sono ormai saturi: gli inglesi hanno comprato spazi nei termovalorizzatori per i prossimi tre anni. I prezzi salgono gara dopo gara e in un anno passano da 140 a 180 euro a tonnellata. Le società provinciali si indebitano e hanno sempre più difficoltà a pagare. I brooker dei rifiuti gongolano, i trasportatori corrono per l'Italia con i loro camion, gli amministratori si disperano. E a peggiorare il quadro ci si mette anche la Cina che vieta l'importazione di materiali impuri derivati dalla differenziata. Cominciano i roghi, cinque in Campania dall'inizio dell'estate. Un disastro. E si ricomincia a parlare di inceneritori: Salvini ne propone cinque. Si accettano scommesse.

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