Emergenza babygang a Napoli, De Luca: «I genitori paghino i danni»

Emergenza babygang a Napoli, De Luca: «I genitori paghino i danni»
di Gigi Di Fiore
Giovedì 18 Gennaio 2018, 10:12
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Tolleranza zero è stata la parola d'ordine più ripetuta due giorni fa alla Prefettura di Napoli, al termine della riunione del Comitato nazionale di sicurezza convocato per affrontare il fenomeno delle aggressioni violente di baby gang ai loro coetanei. Una filosofia che, il giorno dopo, viene apprezzata dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca che, anzi, si spinge ancora più avanti. Dice De Luca: «Sono a favore di decisioni ferme, a partire dalla possibilità di prevedere pene maggiori per i minori che commettono reati».

Un pugno di ferro che dovrebbe prevedere anche un'accresciuta responsabilità dei genitori di minori violenti. Un tema che unisce diritti e doveri, con la chiamata diretta degli obblighi della famiglia che non vigila sui comportamenti dei figli. De Luca la vede in questo modo: «Sono per responsabilizzare pienamente i genitori anche sul piano patrimoniale quando, ad esempio, un figlio si rende responsabile di atti di vandalismo». Interventi educativi e di recupero scolastico vanno bene e fanno parte dei programmi istituzionale anche della Regione Campania, ma secondo il governatore De Luca tra le risposte principali alla violenza delle baby gang resta «un tema che si chiama repressione, che diventa indispensabile quando si vuole garantire la tranquillità di una comunità».
 
Il giorno dopo gli annunci e i programmi per affrontare le violente bande giovanili, illustrati dal ministro dell'Interno, Marco Minniti, molte delle soluzioni individuate vengono vagliate per l'avvio. Come il protocollo che dovrà stabilire regole, contesti e modalità, per togliere la responsabilità genitoriale a padri e madri coinvolti in indagini di camorra.

Napoli come Reggio Calabria. Il protocollo formale annunciato da Minniti due giorni fa, per regolare in concreto in quali casi si deve sottrarre la potestà genitoriale a padri e madri accusati di camorra, sarà preparato nei prossimi giorni. L'idea è già operativa a Reggio Calabria, dove sono stati siglati due documenti: il primo il 21 marzo 2013 e il secondo il primo luglio del 2017.

Su questo tema, il ministro ha spiegato, difendendo la necessità dell'iniziativa: «Esiste un problema di metodi violenti di riferimento da scardinare». Ieri mattina, c'è stato già un primo scambio di idee tra il procuratore capo dei minori di Napoli, Maria de Luzenberger, e il presidente del tribunale per i minori napoletano, Patrizia Esposito. Che spiega: «Dovremo muoverci con la celerità sollecitata dal ministro. Ci sarà sicuramente uno scambio di idee con il presidente della corte d'appello e il procuratore generale, oltre che con il procuratore della Repubblica, per elaborare il documento da portare e siglare in Prefettura».

Di cosa si tratterà? Togliere la responsabilità e il potere sui figli ad affiliati dei clan camorristici in particolare situazioni in cui i figli minorenni possono ricevere danni nella crescita e nella formazione. Il modello di riferimento è dunque il protocollo già siglato a Reggio Calabria nel 2013 e confermato nel luglio scorso dall'accordo tra ministeri della Giustizia e Interno con la Regione Calabria, dove si legge: «Vanno garantite ai ragazzi, provenienti da contesti familiari di criminalità organizzata, adeguate tutele per una regolare crescita psico-fisica, assicurando il soddisfacimento dei loro bisogni e delle esigenze tipiche e la valorizzazione delle specifiche potenzialità, inclinazioni e risorse del minore di età».

La prassi, con riferimento anche a quanto prevede il codice civile, è diventata regola in Calabria. A Napoli, la sottrazione della potestà genitoriale è avvenuta a famiglie di un clan della zona del Pallonetto che spacciava droga anche utilizzando i figli minorenni. Aggiunge il presidente del tribunale per i minori napoletano, Patrizia Esposito: «Finora abbiamo sempre utilizzato le norme esistenti nel codice civile, che anche nel protocollo saranno obbligato riferimento normativo. Tutto questo sarà oggetto di un protocollo d'intesa tra uffici e istituzioni diverse».

Il modello è Reggio Calabria, dove il protocollo, a revisione periodica, è nato anche dall'impegno del presidente del tribunale per i minori, Roberto Di Bella. È il procuratore della Repubblica, a sua discrezione, a trasmettere alla Procura per i minori, ordinanze o richieste di custodia cautelari, sentenze anche non definitive, come strumenti di informazione per intervenire in situazioni di «concreto pregiudizio familiare». Situazioni su cui è competente, per intervenire sulla potestà genitoriale, il tribunale per i minori sulla base delle norme del codice civile. Da qui l'eventuale affidamento a strutture di comunità, case famiglia o ai servizi sociali. Si legge nel protocollo calabrese del 2013: «Tali misure avranno l'obiettivo di fornire ai minori coinvolti adeguate tutele e, nel contempo, offrire loro percorsi formativi e culturali funzionali ad una regolare crescita psico-fisica, con l'ulteriore finalità di evitare la definitiva strutturazione criminale».

Il tribunale per i minori può indicare prescrizioni ai genitori per il recupero educativo dei figli, con sanzione in caso di non osservanza. In casi estremi, la tutela per la rappresentanza legale dei minori può essere affidata ad un avvocato. Napoli, dunque, seguirà queste prassi adottando uno schema di protocollo d'intesa tra più uffici giudiziari sulla falsariga di quello firmato a Reggio Calabria cinque anni fa. Un modo per coinvolgere nelle responsabilità sui comportamenti dei loro figli anche i genitori. Naturalmente, l'obiettivo è il recupero dei ragazzi, come indica anche il protocollo dello scorso luglio tra ministeri della Giustizia e dell'Interno, dove si dice che vanno «valorizzate le potenzialità creative, comunicative ed il senso di identità, responsabilità e di legalità dei minori e giovani adulti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria e che si trovano in situazioni di disagio sociale ed affettivo». Mano dura, ma senza perdere di vista la rieducazione e il recupero sociale dei giovani violenti.
 
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