«Ditelo coi pizzini»: Fierro, l’otorino che regala la voce a chi non parla

«Ditelo coi pizzini»: Fierro, l’otorino che regala la voce a chi non parla
di Maria Pirro
Venerdì 19 Ottobre 2018, 09:03 - Ultimo agg. 12:05
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È l’otorino che prima di tutti, un giorno di 30 anni fa, iniziò a raccogliere i “pizzini” e a dare voce a quei messaggi scritti in ospedale da malati esausti. Ora, con i biglietti diventati un metodo (non solo suo) per interagire e in pugno il programma del movimento per le cure democratiche cui ha aderito da studente fino ad assumere l’incarico di vicepresidente nazionale, Paolo Fierro mostra il dolore tracciato sulla carta per dire quant’è profonda la crisi nell’assistenza: «A Napoli e nel Sud Italia più di altre regioni».

L’ultimo contributo su un bloc-notes che ha conservato: «Vi prego, non mandatemi a casa se non si è risolto il problema della gola». Perché può bastare un foglio, e una penna carica di inchiostro, quando le parole mancano, per pronunciarle d’un fiato: «Dottore, con questo tubbo nel naso mi sento lo stomaco arrostuto». «Aiutatemi e ditemi come si deve fare per fare uscire l’aria dalla bocca». «E se la perssona che sta vicino amme corre il rischio di infettarsi è mia moglie...». «Paolo, non sai quante volte mi prende lo sconforto e piango da solo come un bambino...».  
Impressi, restano problemi pratici e paure recondite che cercano risposte. «La prima (implicita) è evitare scatti d’ira dovuti alla difficoltà di sentirsi impotenti, prigionieri di un corpo, senza più riuscire a esprimersi», dice il medico che sussurra ai pazienti come reagire all’intervento chirurgico anti cancro alla laringe, che crea enormi difficoltà nella comunicazione. L’Ospedale del mare, il gioiello napoletano hi-tech, oggi è il luogo più suggestivo per tentare di ricominciare a utilizzare segni grafici, delineati a mano, che, con il web e le tastiere, sembrano superati.

«Controllo buco ce del bianco la mattina qualche filo di sangue», è una delle tante frasi zeppe di errori ortografici. Ce ne sono di più tecniche: «Segnalazioni di allergie: 1, ai latticini; 2, “Norvasc”, che procura danni agli arti inferiori, piedi e struttura delle dita, ma anche gonfiore e dolori; 3, intolleranza alle punture, antibioti che intramuscoli». E, non mancano, veri e propri appelli: «Anche la macchinetta che aspira i muchi non riesce a tirarli fuori, non a la forza di aspirare e mi crea problemi... Sto respirando un po’ perché ho tolto la controcannula, sto dormendo poco, sto mangiando poco, se vado avanti così, non so a cosa mi porterà. Vi prego fare qualcosa. Con stima». Vecchie e indimenticabili frasi, storpiando il cognome dello stesso medico: «Dottore Ferro, dovete dire alla caposala che io non sono surdo. Non tenco la voce ma ci sento bene». Poi ci sono le descrizioni disperate e commoventi: «Meglio morire che vivere così, con queste patenze e sofferenze... Non ho neppure la forza di scendere dal letto». E i lampi di gioia: «Vado a festeggiare a Montevergine», l’annuncio al momento delle dimissioni («Un voto seguito dalla consegne delle nocciole», sorride il medico). Quest’ultima frase è sulla locandina della mostra presentata il 5 ottobre a Prato, nel centro sperimentale di fotografia. Un progetto del ricercatore indipendente Giacomo Doni, che spiega: «Da 12 anni mi occupo di tutela della memoria dei manicomi, pubblicando anche le lettere degli ex internati: il bisogno di comunicare è lo stesso. Entro il 2019 conto di estendere la narrazione, collegando quei messaggi ai volti di Napoli sotto forma di reportage».

Fierro, 65 anni, 3 figli e una nipotina, è anche componente a titolo gratuito della Consulta popolare per la salute e l’ambiente del Comune di Napoli, ma quasi si nasconde dietro i pezzettini di carta che ha raccolto per 30 anni. Dentro c’è tutta la sua vita trascorsa in corsia e, davanti, l’obiettivo di rendere le strutture sanitarie più umane, oltre il dramma complicato nel silenzio. «L’indice di mortalità evitabile è preoccupante nella regione e risultato di ritardi antichi», fa notare il vicepresidente di Medicina democratica, portando come prova un libro in bianco e nero già arricchito dai formidabili quaderni a quadretti strappati. Colpa della scarsa prevenzione: «Arrivano anziani fumatori con enormi protuberanze al collo, in uno stadio avanzato della neoplasia. Ciò significa non aver mai fatto una visita di controllo e, nel 30-40 per cento dei casi, anziché il 5-10 indicato come standard, è necessario asportare l’organo in toto: una grande mutilazione che peggiora la prognosi e riduce le possibilità di guarigione». Un altro capitolo nel racconto corale riguarda proprio i pesanti disagi post-operatori, come dimostra l’ultima tragedia riportata dal medico: «Protagonista, un muratore che aveva fatto studi di buon livello tanto che scriveva bene. Ma era disoccupato da tempo. Operato dieci anni fa, non si era più fatto visitare e non aveva rinunciato alle sigarette. Quest’anno era stato colpito da un tumore che aveva invaso completamente la laringe: portato in rianimazione, era stato sottoposto a tracheostomia. Dopo il ricovero, era un “clandestino italiano”: per la Asl non esisteva poiché abitava in un alloggio senza titolo, da abusivo. Si è così ritrovato solo con la sua compagna, fino alla morte, ad affrontare tutto». Tornata nella casa occupata, la famiglia è comunque rimasta in contatto con Fierro, tramite WhatsApp, il “pizzino” 2.0.
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