«Bevevo per non sentirmi solo, poi è diventato un inferno»

«Bevevo per non sentirmi solo, poi è diventato un inferno»
di Ettore Mautone
Martedì 12 Settembre 2017, 08:47
3 Minuti di Lettura
Di storie di giovani bevitori ce ne sono tante, a migliaia. Giovani acerbi e un po' ingenui che negli anni del liceo, per darsi un tono, sentirsi integrati nel gruppo, vincere timidezze e solitudini tipiche dell'età, incamminarsi nel tortuoso sentiero che porta all'età adulta, inciampano nell'alcol e nel fumo. «Perché, è bene ricordarlo sempre, dietro l'alcol e prima dell'alcol, ci sono in ogni caso anche gli spinelli, a volte fumati più volte al giorno» avverte Mimmo Canta, medico responsabile del servizio di alcologia di Pozzuoli (Sert della Asl Napoli 2 nord). La storia di Giuseppe (il nome è di fantasia) viene a galla tre anni fa. Oggi, a 19 anni, è iscritto a Giurisprudenza dove ha sostenuto con medio profitto due esami. Un ragazzo diventato dipendente dall'alcol a 16 anni. Da 6 mesi non beve più.
Quando hai iniziato?
«Al liceo, ero allo scientifico, avevo circa 15 anni».
Perché bevevi?
«Ho iniziato per sentirmi bene, più capace e brillante. Per aderire a un modello vincente. Per divertirmi con gli amici, sentirmi integrato nel gruppo, più spigliato. Meno solo».
Con quali modalità?
«All'inizio bevevo solo nei fine settimana quando mi vedevo con gli amici. Giravamo di pub in pub. Lo ritenevo una modalità di trascorrere il tempo in compagnia. Quasi subito è diventata una dipendenza».
Quando lo hai capito?
«Non bevevo solo la sera e nei fine settimana ma durante tutta la giornata. A 17 anni compravo il Tavernello a 1,80 euro al supermercato e andavo a scuola. Una cosa che si è trascinata fino al primo anno di Università».
Quando hai iniziato invece a smettere?
«All'ultimo anno di liceo, a 17 anni. I miei genitori mi hanno aiutato molto. Inizialmente avevano notato che qualcosa non andava: ero distratto, irritato, sbadato. Hanno cominciato a controllarmi. Sono anche venuti a scuola».
Andavi male alle lezioni?
«Più che altro mi assentavo, spesso in classe ero distratto e assonnato».
Cosa hanno fatto i tuoi genitori?
«All'inizio mi hanno colpevolizzato. Poi hanno capito che avevo un problema e mi hanno indirizzato dal dottore per un aiuto. Ero minorenne, mi accompagnavano loro».
Come è stato il primo impatto?
«È stato difficile fidarmi e aprirmi. Ho capito, mi hanno spiegato le conseguenze del consumo di alcol. I medici non mi hanno giudicato. Ero a mio agio con loro e giorno dopo giorno ho trovato il piacere di venire a trovarli a Pozzuoli. Mi hanno dato anche farmaci».
Quanto è durata la terapia?
«Circa un anno per disintossicarmi. A volte riprendevo a bere. Poi mi sono sentito male, ho avuto un incidente con l'auto, sono finito contro un muro. La poliziotta che mi ha soccorso conosceva mio padre e mi ha accompagnato a casa senza denunciarmi. Da quel momento ho trovato uno spirito diverso».
E adesso?
«Sono trascorsi tre anni, da pochi mesi non bevo più, ho riscoperto me stesso, dato due esami all'Università. Ho capito che posso divertirmi senza bere».
Il rapporto con i genitori?
«Ho capito che mio padre è un modello da seguire ma difficile da imitare o eguagliare. Non era quella la strada. C'è la possibilità di affrontare la vita in modo diverso».