Bankitalia: al Sud 4 famiglie su dieci sono a rischio povertà

Bankitalia: al Sud 4 famiglie su dieci sono a rischio povertà
di Marco Esposito
Martedì 13 Marzo 2018, 09:01 - Ultimo agg. 10:12
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Il 5% delle famiglie italiane possiede il 40% della ricchezza. Mentre il 30% più povero deve accontentarsi di una fettina pari all’1%. È la fotografia delle disuguaglianze di reddito e di patrimonio scattata dalla Banca d’Italia nel rapporto biennale sui «Bilanci della famiglie italiane». Una fotografia che segnala come le disuguaglianze siano in crescita, con un preoccupante aumento delle famiglie che rischiano la povertà: sono il 23% - record storico da quando ci sono le rilevazioni - con un picco del 39% nel Mezzogiorno.

Settemila famiglie residenti in Italia hanno risposto lo scorso ottobre a una «intervista lunga e impegnativa», racconta la Banca d’Italia, e il rapporto, relativo alla situazione del 2016, mostra diverse novità sia rispetto all’indagine precedente (2014) sia alla situazione di dieci anni prima (2006). In mezzo, tra il 2008 e il 2012, c’è stata la più pesante crisi economica del dopoguerra. 
L’aumento delle disuguaglianze e della povertà è forse il fenomeno più preoccupante. Bankitalia misura le differenze nei redditi mediante il cosiddetto «indice di Gini», un parametro usato in tutto il mondo e inventato dallo statistico italiano Corrado Gini, che è stato il primo presidente dell’Istat, negli anni del fascismo. Il coefficiente di Gini è un numero compreso tra 0 e 1. Se tutte le famiglie avessero il medesimo reddito, l’indice sarebbe zero. Se invece tutte le famiglie tranne una non avesse nulla e quell’unica famiglia possedesse tutto, l’indice sarebbe 1. È evidente che entrambi gli estremi sono irraggiungibili e non c’è alcun accordo tra gli economisti su quale sia il valore ottimale. Nel mondo occidentale i valori vanno da 0,250 dei paesi Nord europei, dove c’è un forte stato sociale che tende a ridurre le disuguaglianze, allo 0,400 degli Stati Uniti, dove sono tollerati squilibri maggiori. L’Italia, che negli anni settanta era a un livello nordamericano, ha nel tempo ridotto i divari avvicinandosi al Nord Europa. Negli anni novanta però le distanze sono tornate a crescere fino a toccare un nuovo picco di 0,343 a fine secolo. Nel 2006 in Italia la disuguaglianza era scesa a 0,320 per poi arrivare a 0,330 nel 2014 e a 0,335 nel 2016.

Meno tecnico - e quindi di più immediata comprensione - è l’indicatore del rischio di povertà, definito come la quota di famiglie con un reddito inferiore al 60% di quello della famiglia mediana, cioè del nucleo che ha metà Italia più ricca sopra di sé e metà Italia più povera sotto di sé. Il reddito netto mensile mediano era di 1.383 euro per cui il 60% era pari a 830 euro netti mensili. Ebbene, quante famiglie italiane guadagnano meno di tale soglia? Nel 2006 erano il 19,6% e nel 2016 si è saliti al 22,9%, senza alcun segnale di inversione di tendenza grazie alla fine della crisi. 

Per famiglie italiane, tuttavia, si intende residenti in Italia e infatti l’incremento più sensibile - dal 33,9% al 55% - si è registrato tra i nuclei con capofamiglia nato all’estero, mentre per quelle di cittadinanza italiana l’aumento è solo dal 18,8 al 19,5%. Visto che gli stranieri sono residenti soprattutto nelle aree più ricche del Paese, il loro impoverimento pesa soprattutto in quei territori, con il rischio povertà passato da 8,3% a 15% al Nord e da 9,7% a 12,3% al Centro. 

Nel Mezzogiorno il fenomeno è invece stabile (si scende da 39,5% a 39,4%) ma il livello è talmente alto che non si può parlare di un dato positivo. Del resto nel Mezzogiorno - sottolinea Bankitalia - «il 13,3% degli individui vive in famiglie senza alcun percettore di reddito da lavoro rispetto al 6,1% nel Nord e 6,9% nel Centro».

Da segnalare che il rischio di povertà è in flessione rispetto a dieci anni fa per i pensionati e in particolare per le famiglie con capofamiglia oltre i 65 anni, la cui quota con redditi da povertà è diminuita dal 20,2% del 2006 al 15,7% del 2016. Invece la fascia di età che fa segnare il più marcato peggioramento è quella che dovrebbe segnare la massima attività lavorativa: da 35 a 45 anni. Sono infatti cresciuti i nuclei a rischio povertà dal 18,9% del 2006 al 30,3% del 2016. E tra queste famiglie ve ne sono molte di stranieri che non sono riuscite a contrastare gli effetti della crisi.

Notevole è anche la vulnerabilità finanziaria delle famiglie italiane, intesa come la possibilità di fronteggiare un periodo di almeno tre mesi di grave difficoltà economica liquidando tutti i propri risparmi. Sono in questa condizione il 44% delle famiglie italiane. Un valore molto alto anche se inferiore al picco del 46% misurato nel 2012, nel momento più stringente della crisi. 
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