Palazzo Penne, la storia nel mirino dei vandali: vernice nera sul portone

Palazzo Penne, la storia nel mirino dei vandali: vernice nera sul portone
di Giuliana Covella
Sabato 3 Novembre 2018, 08:00
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Non erano bastati i progetti mancati, i furti e i continui tentativi di occupazione abusiva nel corso degli anni. L'altro ieri notte qualcuno ha vandalizzato con scritte di vernice nera l'antico portone di Palazzo Penne, edificio storico che risale ai primi del quattrocento, forzandone inoltre la serratura. Una scoperta compiuta ieri mattina dall'unica inquilina rimasta nell'immobile noto anche perché Pasolini vi allestì il set di uno dei suoi film più celebri, «Il Decameron». Ma non è la prima volta che qualcuno tenta di introdursi all'interno dell'edificio di epoca tardo-rinascimentale, come spiega Iolanda Somma, l'anziana che vive ancora lì, dopo lo sfratto nel 2000 di una cinquantina di famiglie. La donna è l'unica ad avere le chiavi di accesso al palazzo. Chiavi che aprono il portone ligneo che, nella notte tra giovedì e venerdì, qualcuno ha forzato riuscendo a entrare. I segni erano evidenti ieri mattina sia nel portone trovato aperto, sia nelle scritte lasciate dai vandali e nella sbarra di ferro scardinata, che ha permesso a ignoti di varcare la soglia e giungere fino al cortile, abbattendo anche una porta laterale, dove erano custoditi nient'altro che materiali di risulta. Torna così a riaccendersi il dibattito sui beni storici lasciati incustoditi e abbandonati al degrado, come Palazzo Penne, finito ancora una volta nel mirino dei vandali che ne hanno danneggiato l'antico portone. Lo stesso portone da cui usciva uno dei protagonisti del film che Pasolini girò al centro storico di Napoli.
 
Di proprietà della Regione, Palazzo Penne in via Teodoro Monticelli continua a vivere un'odissea infinita. Com'è scritto sull'epigrafe del portale l'immobile apparteneva ad Antonio Penne, segretario di re Ladislao di Durazzo e fu costruito nel 1406, stando a quel che si legge su stemmi e motivi floreali della facciata. Oggi quel sito cade a pezzi, tra infiltrazioni, ponteggi in legno, edicole votive e altri oggetti preziosi trafugati nel corso degli anni. Del progetto di restauro e recupero a firma dell'allora assessore regionale ai Lavori Pubblici Edoardo Cosenza, non c'è più traccia. Tredici milioni e mezzo di euro stanziati con fondi europei del Por-Fesr 2007-2013 per rimettere in sicurezza un bene destinato a diventare sede operativa della Protezione civile. Ma il cantiere non si è mai aperto. Ad avviare il dialogo con Cosenza era stato Pino De Stasio, consigliere con delega alla tutela del centro storico della II Municipalità che, insieme ad Alda Croce, iniziò una battaglia per evitare ogni speculazione edilizia. Ad aprile 2015 furono annunciati i finanziamenti per il recupero dell'edificio e del giardino interno che doveva essere affidato alla Municipalità.

Era il 19 aprile 2013 quando l'ex presidente della Regione, Antonio Bassolino, l'ex rettore dell'Orientale, Pasquale Ciriello, e l'ex componente del comitato di gestione, Maurizio Solombrino, furono assolti dall'accusa di danneggiamento di beni di interesse storico per il mancato restauro di Palazzo Penne. Tutto iniziò nel 2002, quando il cespite fu acquistato dalla Regione per 5 milioni di euro da un privato e affidato in comodato d'uso all'Orientale che avrebbe dovuto farvi un polo umanistico. Dopo la caterva di denunce alla Procura e, un anno fa, una lettera-appello al Presidente della Repubblica Mattarella, De Stasio ha ora inviato un esposto al ministro dei beni culturali Andrea Bonisoli. «Sulla questione ho interessato l'europarlamentare del M5S Isabella Adinolfi, con cui domenica abbiamo fatto un sopralluogo - spiega - per sapere che fine abbiano fatto i 13 milioni di euro stanziati con fondi europei e già in bilancio. Inoltre rivolgo un appello agli intellettuali napoletani, che si stanno mobilitando contro le grate al Plebiscito, ma tacciono su un immobile rinascimentale a rischio crollo».
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