Napoli, c'è un inceneritore a Scampia: ecco i forni del campo rom

Napoli, c'è un inceneritore a Scampia: ecco i forni del campo rom
di Paolo Barbuto
Sabato 24 Giugno 2017, 11:36 - Ultimo agg. 13:02
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I bambini non hanno ancora la scorza ruvida degli adulti, non hanno volti cupi e bestemmie incomprensibili da lanciarti alle spalle come coltelli. I bambini sono curiosi come animaletti: prima guardano con un po' di sospetto, poi sorridono e fanno un passettino avanti, poi si avvicinano un po' di più, alla fine giocano e parlano e ridono perché hanno deciso che non sei un nemico. Gli adulti spiegano che gli incendi avvelenati li appiccano loro, i bambini, ma la storia non è proprio come la raccontano gli adulti.

Scampia, campo rom. Da settimane la gente protesta perché sono ripresi con vigore i falò della spazzatura. Non fatevi ingannare dalle parole: non sono fuocherelli come quelli che s'accendono sulla spiaggia d'estate. Parliamo di tonnellate di rifiuti avvolte dalle fiamme, capaci di sprigionare colonne di fumo denso che s'infila nei polmoni e nelle case della gente anche a chilometri di distanza.

Per Salvatore Passaro quella dei roghi tossici nel campo rom è una sfida personale. Denuncia, presenta esposti, chiede attenzione. Dice da giorni che lì dentro è stata creata una apposita «area forno» nella quale viene accumulato il materiale da bruciare. Già, un forno, un «inceneritore» nel mezzo di un campo rom: sentirgli raccontare questa storia e pensare a una esagerazione è tutt'uno. Ma Salvatore, consigliere municipale Pd, fresco pensionato Anm e, soprattutto, uomo cocciuto, non si ferma davanti a un sorriso ironico: «Il forno c'è, perché non vieni a controllare?».
 


Sole torrido anche se sono appena le nove del mattino. Il campo rom di Scampia dorme ancora perché, spiega chi ne conosce i ritmi, qui si va a dormire all'alba. Ogni baracca ha il suo recinto di ante di mobili vecchi, uno dei recinti è mezzo aperto, sarebbe proprio quello che porta al «forno». Alle spalle della baracca, disabitata attualmente, si intuisce uno spiazzo che sembra grande quanto un campo da calcio. Si intuisce solo perché è interamente ricoperto di rifiuti: copertoni d'auto, frigoriferi spaccati e lavatrici ammaccate, residui di lavori edili, lastre di eternit, pezzi d'auto, giganteschi sacchi di abiti malridotti. Eccola, è questa l'area dell'«inceneritore», c'è davvero. Lo confermano anche le foto scattate dall'alto, dalla strada sovrastante che viene invasa dal fumo ad ogni rogo. È passata quasi una settimana dall'ultimo incendio, il forno s'è riempito di nuovo, nelle prossime ore (magari già stanotte mentre il giornale va in stampa) partiranno le fiamme che divoreranno tutto e sprigioneranno nell'aria letali concentrazioni di veleno.

Da Scampia a Melito, da Marano a Quarto, lo sanno tutti che funziona così; e la gente è disperata perché il ritmo degli incendi è incessante: uno, due ogni settimana, con la puzza che dura per giorni e i polmoni che s'intasano di schifezze. E appena passa tutto, ecco che si alza un'altra nuvola nera, senza che qualcuno intervenga. Cioè, spesso arrivano i pompieri che, negli ultimi due mesi, hanno effettuato puntualmente un intervento a settimana, sempre in concomitanza con l'accensione del forno. Ma poi i pompieri vanno via, se i rifiuti non s'erano carbonizzati a sufficienza prima dell'arrivo delle autobotti, i rom aspettano che la roba si asciughi, ne mettono un altro po' sopra e appiccano nuovamente il fuoco.

Nel campo a quest'ora di mattina ci sono in giro soprattutto i cuccioli; di adulti ne spunta solo qualcuno per capire chi sono gli intrusi. Copione classico: «Siete giornalisti? Bene, denunciate che qui vengono i napoletani a gettare tutta la loro immondizia, noi non sappiamo più come fare»; l'uomo conosce bene la parte e la recita alla perfezione. Ma voi riuscite a immaginare che una persona, non conosciuta dalla comunità, possa entrare qui dentro e scaricare quel che vuole?

Dietro l'uomo spunta una ragazzina, dieci, undici anni, forse. Ha un sorriso dolce e non dice nemmeno una parola. Allora ti viene spontaneo indicare lei e chiedere all'uomo: «Ma perché incendiate tutto? Non vi rendete conto che fate del male soprattutto a loro, ai bambini?». E qui al tizio sgorga il colpo di genio. Spiega che sono proprio loro, i bambini che vanno a dare fuoco a quei rifiuti che i napoletani ammucchiano giusto in mezzo alle baracche malmesse del campo: «Per loro è un gioco», ride. Poi si volta afferrando e trascinando via, con la sola forza di uno sguardo, anche la bambina che lo ha seguito.

Insomma, la posizione dell'uomo rom è chiara. In quel campo la spazzatura (tonnellate e tonnellate) viene portata nottetempo dai cittadini napoletani, poi qualche bimbo birichino si diverte con un fiammifero ed ecco che, con metodica precisione, ogni settimana viene acceso un incendio velenoso. Ognuno ha la sua verità, il fatto è che questa verità è talmente falsa da non poter essere ascoltata senza reagire: scusi, ma lei proprio non si accorge dei napoletani che vengono a gettare la spazzatura davanti alla sua baracca? «Guardi che io la notte dormo, mica posso mettermi a fare la guardia?», ghigna ironico e scompare.

Per smaltire uno pneumatico usato, un rom prende uno o due euro, dipende dalle capacità di contrattazione. Un elettrodomestico di grandi dimensioni lo portano via per cinque o dieci euro; per i camion con rifiuti edili o con residui industriali che vogliono scaricare nell'area del campo, la trattativa è privata: se la roba è tanta il costo sale, se la roba è pericolosa, il prezzo diventa esagerato, ma sempre conveniente per chi sversa. È il business trainante dell'intero campo, e può essere svolto solo all'interno perché lì nessun altro può metterci piede.

A dire la verità spesso le forze dell'ordine vanno a dare un'occhiata, anche perché ci sono quelli ai domiciliari da andare a controllare. Puoi distinguere le baracche dove c'è un detenuto ai domiciliari perché sono le uniche davanti alle quali sono piazzati in bella vista cartelli scritti a mano su pezzi di legno con nome, cognome e ipotetico numero civico: «Lo fanno perché qualche volta i poliziotti non sono riusciti a trovarli in mezzo a questo casino di baracche e hanno rischiato di passare dei guai. Scrivendo il loro nome aiutano le guardie e stanno più tranquilli anche loro». Ma perché l'indicazione non viene messa su ogni baracca? «Perché qua ci conosciamo tutti, non ce n'è bisogno. E chi non ci conosce non deve sapere dove stiamo», logica ferrea.
 
 

I cumuli di immondizia sono ad ogni angolo, anche i segni di piccoli roghi. Le auto senza targa sono praticamente davanti a ogni casa: ma perché non hanno la targa? Sono rubate? «No, no, le targhe sono cadute e bisogna riavvitarle». 

Dietro a certe staccionate ci sono grosse piscine gonfiabili, sono quasi ovunque, non solo davanti alle baracche dei ricchi e potenti: il caldo è troppo e bisogna attrezzarsi. La struttura che ha più spazio a disposizione è dipinta di fresco e ha una scritta incisa sul cancello, «casa del boss». Dentro c'è un pollaio con una decina di galline, una piccola serra dove crescono piante trattate con amore, belle auto parcheggiate: insomma sembra una villetta al mare.

Sull'asfalto che dovrebbe servire da «uscita Scampia» per l'asse di collegamento e che invece è occupato dai rom (ma perché non si trova una soluzione?), razzolano i bambini del campo, almeno quelli che sono svegli a quell'ora.
Danno gioiosi i tormenti a un cane legato con una corda a mo' di guinzaglio, lo accarezzano, lo abbracciano, gli toccano il muso. Sono sorridenti e neri di fuliggine come tutto quel che c'è attorno: il fumo dei roghi, qui dove i roghi nascono e sono più violenti, si manifesta sotto forma di nebbiolina collosa che va ad attaccarsi ovunque. La polvere nera che ricade dalle colonne di fumo crea uno spessore per terra che si solleva ad ogni alito di vento, anche quello leggero di giugno. Così i bambini hanno il volto mezzo colorato di nero, come quelli che cercano di aggiustare la catena della bici e poi si passano la manina in faccia: corrono, si prendono in giro, sono bambini come tutti i bambini del mondo, belli come tutti i bambini del mondo, anche quando hanno la faccia e i vestitini sporchi. Solo che a due metri da loro c'è un topo lungo quaranta centimetri spiaccicato per terra e due metri dietro di loro c'è un «forno» dove ogni settimana si inceneriscono veleni.

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