Napoli, Decumani, degrado e crolli
il pericolo incombe sui turisti

Napoli, Decumani, degrado e crolli il pericolo incombe sui turisti
di Paolo Barbuto
Domenica 28 Agosto 2016, 19:39
5 Minuti di Lettura
La famiglia è distrutta dalla stanchezza, accento brianzolo, ora di pranzo, Peroni gelata in attesa delle pizzette. Papà, mamma e figlio adolescente hanno trovato posto all’unico tavolino di un baretto di via San Biagio dei Librai, decumano inferiore della città, cuore del centro storico. Non hanno notato che, esattamente sulle loro teste, penzola una gigantesca fetta di intonaco già mezzo staccato dal palazzo. La situazione la vedete rappresentata qui a destra nella foto scattata da Alessandro Pone: il pericolo è evidente, eppure quella situazione, per tutti, appare normale.
La coppia di stranieri s’è staccata dal fiume di turisti che si accalca fra via Tribunali e San Gregorio Armeno; ha raggiunto l’Anticaglia, decumano superiore, meraviglia della città tutelata dall’Unesco, per guardare da vicino i resti del teatro romano inglobati nei palazzi d’oggi. Chiacchierano con intensità, non si rendono conto che, esattamente sopra le loro teste, c’è una porzione di mattoni antichi che poggia «sul nulla». Resta ferma per motivi ignoti alle leggi della statica e un eventuale crollo dovrebbe essere miracolosamente bloccato da una rete di plastica e da una trave di legno. Anche questo sembra «normale» nella nostra città.

Abbiamo fatto un altro blitz nella porzione antica della città di Napoli. Quella in cui, secondo i dati ufficiali, più del 70% degli edifici è in cattivo stato di conservazione. Noi crediamo ciecamente ai rilevamenti ufficiali, ma siccome il centro storico l’abbiamo percorso in lungo e in largo ieri mattina, abbiamo il sospetto che la percentuale dei palazzi in cattivo stato di conservazione sia nettamente superiore, praticamente il cento per cento. E siccome in quelle strade, oltre a migliaia di napoletani, passano fiumi di turisti, forse sarebbe il caso che le autorità competenti andassero a dare uno sguardo.

Non faremo un elenco minuzioso del degrado che abbiamo visto. Preferiamo raccontarvi singoli episodi, flash della devastazione nella quale ci siamo imbattuti. 

Largo proprio di Avellino. Gli edifici sulla destra della piazzetta hanno un affaccio speciale: «Ecco qui - dice una donna gentile che però chiede l’anonimato - guardate cosa nasconde il cuore della Napoli storica». La sorpresa è un intero edificio bombardato durante la seconda guerra mondiale il cui scheletro è ancora lì, come se oggi fosse il 28 agosto del 1946 e gli ultimi settanta anni non fossero mai trascorsi. Tufo a vista, solai crollati, vegetazione che s’è impossessata di ogni spazio possibile: «Dicono che la struttura non crollerà - sospira la donna gentile - voi guardatela e date il vostro giudizio». Il giudizio è il seguente: quel palazzo fa paura e siccome si trova a cinquanta metri in linea d’aria dalle strade dei turisti fa ancora più paura.

Vico Cinquesanti, giusto in cima a San Gregorio Armeno. La struttura del Sacro Tempio della Scorziata è pericolante ma ingabbiata (speriamo) a dovere. Alla destra, però, c’è un’area protetta da un cancello che dovrebbe essere inibita perché proprio lì s’è verificato l’ultimo crollo. Invece dietro al cancello ci sono ciclomotori in sosta e persone che accedono liberamente: ma perché si consente a qualcuno di rischiare la morte senza fermarlo?
Vico Giganti. Trentadue passi da via Tribunali dove in quel momento passa un plotone di crocieristi al seguito di una insegna colorata. L’edificio di fronte al civico 30 (non ha numero, l’unica maniera per individuarlo è questa) nasconde un cortile sul quale s’affacciano intonaci in bilico e balconcini pieni di crepe. Alla finestra dell’ammezzato una giovane donna chiede ragione dell’invasione, poi sorride e spiega: «No, non abbiamo paura a vivere qui dentro». Accetta con pazienza il pistolotto sul possibile cedimento, al prossimo alito di vento, di un metro quadro di intonaco e promette, per il bene dei suoi figli che giocano lì sotto, che si darà da fare per farlo spicconare: almeno questo è un piccolo risultato.

Vico San Petrillo. In fondo alla stradina abita in un basso la famiglia Cipolletta che, a rigor di logica, dovrebbe essere prigioniera in casa da almeno due anni. Dal muro del convento che sovrasta quel basso, infatti, a giorni alterni vengono giù pezzetti di pietrisco alternati a pietre più grosse che si schiantano a terra con rumore sordo e impressionante. Così alla famiglia è stato presentato un documento che vieta il passaggio al di sotto del pericolo. Solo che il pericolo è esattamente sopra la porta di ingresso: «E allora che dovremmo fare secondo il Comune? Scavare un tunnel per uscire di casa?» Antonio Tagliamento, marito della signora Cipolletta, prova con l’ironia anche se l’amarezza prende il sopravvento. «Sanno che c’è un pericolo eppure nessuno interviene. Gli basta averci mandato quella carta, e chi si è visto si è visto. Noi che sappiamo qual è il pericolo stiamo attenti. Ma se di qui passa una persona che non sa nulla, che succede? Si prende una pietrata in testa e magari muore come quel povero ragazzo alla galleria Umberto?». Lo sfogo è lecito e la domanda retorica cade nel vuoto.

Vico Consolazione. Il bivio fra porta San Gennaro e l’accesso ai Decumani è tutto un programma. Qui il degrado è a livelli talmente alti che perfino il marmo stradale con la scritta «Vico Consolazione» è spaccato giusto al centro e prima o poi finirà in testa a qualcuno. Quel marmo si trova a un incrocio: da un lato l’ingresso laterale della parrocchia di San Giovanni in Porta che è un mare di crepe e intonaci già crollati, dall’altro l’accesso alla strada che porta lo stesso nome della chiesa sulla quale affacciano edifici che fanno venire i brividi.

Via San Biagio dei Librai. All’altezza del commissariato una turista porta il passeggino giusto a ridosso della chiesetta del Divino Amore. La facciata è impressionante, sembra pronta a venire giù. Il fotografo, Alessandro, a questo punto è sconsolato e recita a memoria il tema di «Io speriamo che me la cavo» sulla casa della bambina: «La mia casa è sgarrupata, il tetto è sgarrupato, le stanze sono sgarrupate». Poi si ferma e decide una variazione sul tema: «La mia città è sgarrupata. E, dopo quello che ho visto, adesso anche io mi sento un po’ sgarrupato». 
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