ROMA Quando a Baltimora è l'una della notte tra lunedì e martedì il portacontainer Dali, gigante di quasi 300 metri battente bandiera di Singapore costruito nel 2015 in Virginia, lascia il porto. A bordo ci sono venti membri dell'equipaggio, indiani, ma anche due piloti locali, come vuole il regolamento, che si occupano dell'uscita dal porto.
Sulla nave, mentre si avvicina al ponte Francis Scott Key, si spengono le luci, c'è una perdita di potenza, sembra partire il generatore di emergenza, ma poi torna subito il buio.
LA CIRCOSTANZA
L'Fbi ieri ha escluso che al momento si possa pensare a un attacco terroristico o all'azione degli hacker. Si tratta di una coincidenza fatale: se il black out sulla nave fosse avvenuto in qualsiasi altro momento, non sarebbe successo nulla. Invece, la Dali, fuori controllo, va a colpire uno dei piloni del ponte in acciaio inaugurato nel 1977, considerato un gioiello della tecnologia. Otto operai sono sul ponte, alto 58 metri, stanno riparando le buche nell'asfalto, non hanno il tempo di fuggire. Due vengono recuperati vivi dal fiume Patapsco, attraversato dal ponte che è lungo 2,6 chilometri. Restano altri sei dispersi. La Guardia costiera, nei primi report, scrive che un pilota a bordo ha riferito di «problemi di alimentazione, molteplici allarmi sul ponte e una perdita di propulsione prima dell'incidente». Il portacontainer Dali è di proprietà di una società di Singapore, la Grace Ocean Pte Ltd., è gestita da Synergy Marine Group ed è piena di container per conto del colosso dei trasporti merci danese Maersk. Prima di Baltimora era stata a Norfolk e Panama e la sua destinazione era Colombo, capitale dello Sri Lanka. Aveva in programma di passare dal Sud Africa per evitare il Mar Rosso, dove c'è il rischio di attacchi degli Houthi, i ribelli filo iraniani che stanno lanciando missili contro i cargo. Quanto meno non è un nave fortunata: nel 2016, ad Anversa, in Belgio, era stata protagonista di un incidente perché la prua andò a strisciare contro la banchina.