«'O vascio nun è vascio... È na reggia», sapori e riti dei bassi di Napoli

«'O vascio nun è vascio... È na reggia», sapori e riti dei bassi di Napoli
di Francesca Cicatelli
Domenica 14 Gennaio 2018, 15:10
3 Minuti di Lettura
Giovanni Ermete Gaeta, più noto come E. A. Mario, avrebbe detto che: 'O vascio nun è vascio... È na reggia. Ora anche un ristorante, esperienza che ammalia i turisti inseguitori della scia del ragù per ritrovarsi riflessi in una finestra ad altezza uomo. Un luogo, il basso, che condiziona la dimensione del bene e dello stare insieme, ristretti in una vicinanza che è un abbraccio necessario, da coltivare per sopravvivere. Con i vicoli, gli angiporti, i fondachi, calca la fisionomia pittoresca di Napoli e interviene pure a rimediare allo smarrimento tra i calli partenopei come salvifico gps umano con qualcuno affacciato alla finestra pronto a fornire indicazioni stradali.

Chi vive il basso ha un rapporto ancora più viscerale con la città, si prende persino cura delle edicole votive del Seicento agli angoli delle strade. Così molti proprietari hanno deciso di rispondere alla ristrettezza dei luoghi aprendoli all'esterno e accogliendo quante più persone possibili, soprattutto cultori della cucina tradizionale. Sono nati locali antesignani del fenomeno del social eating: spazi inaspettati e quotidiani trasformati in ristoranti amatoriali per ospiti personali paganti che vogliono ritrovare calore umano e vita raccolta. Non a caso Matilde Serao li descriveva come case in cui si cucina in uno stambugio, si mangia nella stanza da letto e si muore nella medesima stanza. Lei, che in un basso di piazzetta Ecce Homo visse a lungo, forse mai avrebbe immaginato però che un giorno l'arte di arrangiarsi partenopea li avrebbe eretti a focolari alla moda.

Troviamo 'O Vascio ai Quartieri Spagnoli, dove si consumano pasti su sedie impagliate disposte in semicerchio fino fuori il vicolo, e l'Home Restaurant a vico Consiglio per selezionati appuntamenti ispirati ai pranzi della domenica in famiglia. Barbara Simonetti e Pasquale Brancaccio hanno fotografato nel cibo gli infiniti rituali di madri e nonne: dalla preparazione del ragù di carne alla frittura di pesce, dalla parmigiana alla pastiera. Tutto doveva seguire un iter scandito: il pesce veniva comprato al mercato dagli uomini di casa la domenica mattina, la carne per il ragù si acquistava il giorno prima dal macellaio di fiducia. Persino il tovagliato e le stoviglie di famiglia vengono messe a disposizione degli ospiti.

La familiare ma allo stesso tempo ricercata Casa di Ninetta a Chiaia: intima con note retrò, archi e luci soffuse dove Carmelo Sastri ha voluto portare avanti la vera cucina tradizionale, sulla base degli insegnamenti dalla madre Anna, detta appunto Ninetta. Il locale riporta il tocco artistico della sorella Lina Sastri, che ha dedicato alla madre un libro ed un toccante monologo teatrale. E come non citare le file imprenotabili davanti Nennella a vico Teatro Nuovo con paste e patate servite da camerieri con spirito arguto oppure The Italian cooking in via De Dominicis a Napoli e ancora a Casa di Bruno a Giugliano e L'angolo nascosto a Frattamaggiore. E a chi è schizzinoso, e preferisce restare lontano da un luogo che rasenta e spesso soggiace al suolo, è bene ricordare la mania per la pulizia del basso che sprigiona l'odore di bucato e di candeggina su pavimenti ripassati più volte al giorno, forse il ricordo delle tante epidemie secolari.

Il censimento più recente di un'indagine Doxa del 1965 contava 45mila bassi con un numero di abitanti che superava le 300mila anime. E non si è sottratto neppure l'estro del teatro di Eduardo che, in Napoli Milionaria, presentava gli abitanti dei bassi come i classici di una cultura tutta partenopea che, nonostante l'abbandono di dio e degli uomini, riuscivano a sopravvivere perché quelle che siedono presso la porta delle loro case porgono grazioso diletto agli occhi, avrebbe poi detto un Boccaccio dodicenne rimasto incantato da Napoli, e dalla sua gente.
 
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