Non tutte le pizze sono uguali
e neanche chi le racconta

Formamentis 2016
Formamentis 2016
di Luciano Pignataro
Domenica 5 Febbraio 2017, 10:31 - Ultimo agg. 10:46
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Formazione, rapporto con i media, esportazione all'estero dello stile napoletano: sono questi tre temi fondamentali di cui si discuterà domani al secondo convegno di Pizza Formamentis, una sorta di «stati generali» del settore, organizzata senza sponsor, che punta all'ascolto di tutte le voci in campo.
La continua crescita pone infatti problemi nuovi, sconosciuti sino a pochi anni fa. Il primo riguarda sicuramente una sorta di saturazione dell'offerta con l'apertura, ovunque, anche in territori dove sostanzialmente non c'era grande tradizione come il Sannio, l'Irpinia e il Cilento, di nuove pizzerie. Nella stessa Napoli il fenomeno è in crescita esponenziale e non accenna a fermarsi.

Questa situazione inizia a creare le prime difficoltà di calo della media di presenze, perché la clientela delle pizzerie è di prossimità. Non accade per i nomi famosi, salvo per gli appassionati che però non fanno numero, come per i ristoranti al top che si raggiungono apposta in aereo o in treno. Non solo pizzerie di quartiere, ma anche nei centro fuori Napoli. Basti pensare ad Aversa che in un anno ha avuto quattro aperture rilevanti, oppure Pozzuoli o anche Acerra dove ci sono una quarantina di pizzerie per 60mila abitanti.

La novità è che non c'è più questa distanza siderale di qualche tempo fa tra i nomi più conosciuti sulla scelta dei prodotti, la qualità dell'impasto, il servizio. Ormai è passato il messaggio che ha rovesciato completamente la percezione di cosa debba essere una pizza. Prima era sempre buona a prescindere purché calda, oggi deve essere «veramente» buona. E tutti, o quasi, investono sulla qualità. Proprio questo miglioramento ha consentito al modello napoletano di imporsi anche fuori Napoli, al Nord, e all'estero. Persino a Parigi oggi è possibile mangiare in più di un locale un pizza simile a quella dei Tribunali o del Vomero.
Di fronte a questo successo pesano però le incognite di un mercato saturo, che subisce la concorrenza nelle fasce più giovani delle paninoteche dove pure è cresciuta la qualità, o della cucina nipponica che ha iniziato a dilagare anche in Campania in modo definitivo.

In questo contesto dove abilità e qualità, pur nelle diverse gradazioni, mettono quasi tutti sulle stesse condizioni di partenza, diventa decisivo comunicare bene, costruire il proprio brand personale o della pizzeria. Insomma per la pizza sta accadendo quello che è già successo nel mondo del vino nello scorso decennio.
Di fronte a questa domanda di comunicazione c'è una offerta invece sempre più confusa nella quale i pizzaioli hanno difficoltà a distinguere tra media tradizionali (giornali e siti di giornali, oltre che radio e tv), food blogger e social network. Sono sorte nuove figure professionali che assicurano like e letture su facebook, molti food blogger girano promettendo servizi e spesso questa attività di comunicazione viene confusa con quella di informazione, in cui a pagare chi scrive non è il pizzaiolo (o il ristoratore) ma l'editore della testata giornalistica. Ovviamente questo problema riguarda un po' tutto il mondo del food, ma nel settore pizza è particolarmente esasperato per due motivi: la formazione di un pizzaiolo è decisamente meno impegnativa di quella di un cuoco e girare per pizzerie costa decisamente molto meno che andare per ristoranti, anche perché nel secondo caso si deve viaggiare in Italia e all'estero mentre nel primo basta stazionare a Napoli e fare qualche puntatina a Roma.

C'è una soluzione a questo caos? Forse l'idea che inizia a circolare, e che cioè siano le stesse associazioni a promuovere una comunicazione per i loro aderenti così come fanno formazione, non è tanto sballata. Come pure quella di fare dei corsi per assaggiatori professionali come avviene con il vino. Chi sceglie di fare comunicazione ha il dovere di strutturarsi e di dichiararlo altrimenti è come se ogni auto che circola si trasformasse in taxi abusivo. Una cosa è certa, se non si fissano al più presto le regole questa enorme ampolla comunicativa fatta di post su Facebook e sui blog, come di foto su Istagram, rischia di creare confusione, false aspettative, recriminazioni, paure, gelosie, invidie e di sortire un effetto di saturazione e di abbandono da parte dei professionisti.
E questo grigio che dilaga potrebbe diventare una notte nella quale, come scriveva il filosofo tedesco Hegel, tutte le vacche sono nere.
 
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