Ninetta e quegli ziti al ragù tra canzoni e vecchi ricordi

Ninetta e quegli ziti al ragù tra canzoni e vecchi ricordi
di Santa Di Salvo
Giovedì 22 Marzo 2018, 10:39
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Con quella faccia un po' così, da scugnizzo elegante e giramondo, Carmelo Sastri detto Carmine finge quasi di non capire perché l'Huffington Post ha lodato così platealmente la sua genovese con gli ziti spezzati. Forse perché tra tanti ristoranti napoletani il suo è autenticamente partenopeo? Forse perché lui è uno dei pochi a dichiararsi apertamente borbonico per convinzione e senso di appartenenza? Beatrice di Borbone delle Due Sicilie, la sorella di Carlo, gli ha regalato un magnifico stemma tessuto con le sete di San Leucio e Carmine lo tiene al posto d'onore al ristorante. «No, per favore, non chiamatelo così. Guardi gli arredi, le sedie, i pezzi d'antiquariato, i tappeti persiani e le stampe, le librerie e gli strumenti musicali, le specchiere, i lampadari e le candele accese sui tavoli. Questa è una casa. La casa di Ninetta». Ninetta, per quelli che non lo sanno, è Anna, la mamma di Carmelo e di Lina. Grande cuciniera e donna gentile e appassionata, cui la vita riservò in coda il tormento di una malattia che umilia corpo e mente, l'Alzheimer. A lei Lina Sastri ha regalato con amore un monologo postumo che l'ha trasformata in un personaggio teatrale straordinario. Carmine invece la celebra ogni sera cucinando e narrando storie antiche in questo luogo d'altri tempi. Siamo a due passi dal lungomare ma qui, attutiti dalle assi di legno scuro e dalla stessa magia dell'atmosfera, i rumori del mondo non entrano. Un angolo sospeso, un limbo aristocratico dove convivono i ricordi personali dei viaggi, delle tante fidanzate, degli artisti amici, dei piatti più amati, e i racconti legati alla storia di Napoli che il patron dispensa largamente agli stranieri che non la conoscono.
 
Dal Ponte di Casanova con stanza e cucina alle ville di Beverly Hills la strada può essere lunga. Ma Carmine l'ha percorsa d'un balzo. «Conobbi Debbie a Roma, facevo lo studente squattrinato. Ci siamo innamorati, l'ho seguita a Los Angeles per conoscere i suoi. Venne a prendermi in aeroporto con una Rolls. Scoprii che era la figlia del presidente della Columbia Pictures». Un anno e mezzo di convivenza, poi l'addio. Carmine non si scoraggia, per vivere fa il cameriere da Mario's e conosce Yul Brinner, Nathalie Wood, Cesare Zavattini. E Deborah? Più nessuna notizia? «Ma certo! Siamo ancora amici. Quando viene in Italia passa sempre a trovarmi, l'anno scorso l'ho portata anche sul set del film di Ozpetek». A Carmine le donne non sono mai mancate, lo si intuisce subito. E a ogni fidanzata, una nuova esperienza gastronomica. Sempre negli anni Settanta la nuova meta amorosa è la Germania, dove Sastri prima lavora in un locale di Berlino, poi apre un ristorante ad Hannover. E ancora Londra, Stromboli, Capri. La marcia di riavvicinamento è finita quando Carmine scopre la semplice verità: «Perché continuo a girare? Tutto quello che voglio e che mi serve sta qua, a Napoli». E torna. Precisamente sul lungomare, dove è il primo in Italia ad aprire un locale gay, Il Bagatto in via Dumas. Poi verrà il Bar dell'Ovo e finalmente Ninetta, in via Tommaseo. «Dieci anni fa nessuno voleva sentir parlare di cucina di tradizione. Facevano i piatti dipinti. Ma io duro, mi sono impuntato. Ero tornato come figlio di Ninetta e nipote di nonna Emilia, una marescialla che incuteva timore nella sua cantina in via Firenze. L'avevano soprannominata ciuccio e fuoco. Cioè? «Si chiamava così il botto più pericoloso di Capodanno, era un asinello riempito di polvere pirica».

Con queste premesse pirotecniche, nel 2009 Carmelo Sastri chiede aiuto allo scenografo Bruno Garofalo e al regista Bruno Colella per costruire un piccolo grande interno napoletano, cornice giusta di una cucina che è stata per secoli la nostra arte povera per eccellenza. Anche i piatti devono ricordarcelo. Bucatini alla puveriello, pasta e patate con la provola, il ragù napoletano che condisce i manfredi con la ricotta. Come su un palcoscenico - e il palchetto centrale molto aiuta - la gastronomia napoletana si mette in mostra. Viene cucinata, esibita, ampiamente raccontata e degustata in un rito officiato dal gran cerimoniere Carmine, con l'assistenza dei figli Francesco e Anna, due «bei guaglioni» convertiti al Verbo, e di Marco Foderaro, uno chef cresciuto nel locale. Poteva mancare la pizza? Qui va contemplato anche il forno, tappezzato di maioliche vietresi dipinte a mano. Carmine passa e benedice, narra la storia del piatto e a domanda storica risponde, con gli occhi che gli brillano per la contentezza.

Carmelo, ma lei sa cucinare? «No, io so mangiare. Ma ne capisco veramente. Ho cominciato da bambino, quando mi sistemavano in un grande cesto nel retrobottega perché non facessi danni. Guardavo mia nonna al fornello e vi assicuro che nel mio locale ho scelto gli stessi piatti che faceva lei, alici, polpette, baccalà, salsicce e friarielli». Il sushi no? «Macché, meglio la genovese che cuoce dodici ore, la pastiera solo a Pasqua e la minestra maritata a Natale. Che ci volete fare? Sono tradizionalista. Adesso fanno finta di esserlo in tanti. Ma non è mica vero...».

Inutile dire che La Casa di Ninetta è un dopoteatro frequentato soprattutto dagli artisti amici di Lina. Sono di casa i musicisti (Bennato, Zurzolo, Gragnaniello), gli attori (Buccirosso, Papaleo, De Sica, Giannini). Ninetta piace molto anche a tutta la nobiltà partenopea, forse per via del marchio borbonico. E anche la famiglia reale danese, dopo qualche prima del San Carlo, cena qui. A maggio Carmelo compie 71 anni e festeggia con un bell'evento legato a Wine&TheCity, la quarta edizione di Opera Napoletana. Una serata con soprano, tenore, piano, violino e melodie di casa nostra. Con tale sorella e cotanta stirpe partenopea, confessi Carmine, lei canta? «No no. Posso solo accennare alla canzone che piaceva a mia madre, Me ne vogl'i' all'America». È la stessa canzone che Lina canta ad apertura del suo monologo sulla madre, bella e malinconica. «Mi ricordo quando scendevamo al porto a veder partire mio padre sulla Federico C. Andava in Sudamerica, vendeva cravatte e fisarmoniche. Mi ricordo. Era come una festa. La banda suonava e noi salutavamo con la mano. Ma in fondo al cuore eravamo tanto tristi». Il racconto è vivido, come in un film. Negli occhi di Carmelo ancora oggi spunta una lacrima.
 
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