Lo chef dei potenti Enrico Derflingher: «I reality sono finti. In Italia non si
fa squadra»

Lo chef dei potenti Enrico Derflingher: «I reality sono finti. In Italia non si fa squadra»
di Francesca Cicatelli
Giovedì 22 Giugno 2017, 20:47 - Ultimo agg. 20:48
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L'umiltà dei grandi. Enrico Derflingher, classe '62, è lo chef italiano più noto al mondo ma sembra non accorgersene e continua ad onorare la semplicità di «ragazzo lombardo». È amato dai vip ma rifugge la vita mondana, A soli 25 anni fu scelto come cuoco personale di Carlo e Diana d'Inghilterra fra migliaia di aspiranti. Primo cuoco italiano alla corte inglese dopo una lunga tradizione di francesi, fino ad arrivare alla Casa Bianca, dove è stato per due anni responsabile delle cucine, facendosi amare da George Bush senior. Alla “Terrazza” dell'Eden di Roma, dove è rimasto per nove anni, si è conquistato la Stella Michelin, prima di passare in Svizzera al prestigioso Palace Hotel di St. Moritz.

Amato da star internazionali e grandi personalità, Enrico Derflingher, presidente di Euro Toques International (l'associazione riconosciuta dall'Ue che raggruppa i più importanti chef d'Europa), dopo molti anni il Giappone, in cui ha aperto ben 30 ristoranti, è rientrato in Italia. Si racconta nella videointervista a Il Mattino in occasione del Napoli Pizza Village.
 


In che direzione sta andando la cucina italiana? Sì all'innovazione?
«Sta vivendo un momento florido e una rinascita. I prodotti italiani diventano sempre più famosi. E tutti i grandi ristoranti francesi negli alberghi all'estero stanno diventando italiani».

La cucina italiana dovrebbe essere più semplice?
«Sì valorizzata con poche salse e pochi passaggi. La nouvelle cuisine è finita da tanti anni fortunatamente. Ora ci sono tanti innovativi che cercano di cucinare in modo da impressionare ma è una tendenza che passerà di moda».

È stato accanto ai più potenti. Quale cibo italiano apprezzano più di tutti e come si fa ad accontentare il loro palato?
«Sia a Buckingham Palace che alla Casa Bianca ho sempre portato i prodotti italiani. E hanno fatto la differenza».

Una strada già segnata?
«Ho sempre avuto questa passione fin da bambino. Ho cominciato a 14 anni pelando patate in un posto sconosciuto sul lago di Como. Poi fortunatamente qualche anno fa ho avuto il riconoscimento di miglior cuoco al mondo e ho coronato un po' il mio sogno».

Tre aneddoti legati ai grandi personaggi della storia con cui è venuto a contatto
«I tre personaggi a cui sono più legato sono Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II e il presidente del Sudafrica. Mi hanno toccato dentro: personalità importanti amanti della cucina semplice che rispecchiava il loro carattere. Poi ho insegnato a fare la pizza per la prima volta ai principi William e Henry. Mi chiedevano sempre perché ci fossero tre colori come condimento della pizza: rosso, bianco e verde. Ho dei ricordi bellissimi. Potrei raccontare i matrimoni dei più grandi divi di Hollywood o la cena della regina Vittoria in cui Gorbaciof ha incontrato Reagan con Bush vicepresidente e ho preparato il mio risotto "Queen Victoria" con cui ho vinto il titolo di miglior cuoco d'Italia e del mondo e la regina per complimentarsi mi ha chiamato in sala e regalato una pentola. Un risotto che è diventata poi la mia condanna: ora me lo chiedono a tutti gli eventi in giro per il mondo come alle Olimpiadi di Pechino, di Londra, ai mondiali in Sudafrica e all'Expo».

Qualche volta ha voglia di non cucinare?
«No, è il mestiere più bello del mondo e, anzi, quando per qualche giorno non cucino per via di altri impegni mi manca».

Ha mai commesso un errore in cucina in fase di apprendimento?
«Sì, come tutti, anche se non ne ho memoria».

C'è qualcosa che non le piace cucinare?
«No mi piace tutto e mangio tutto. In particolare i nostri primi piatti sono i miei cavalli di battaglia».

Sì ai reality o il vero chef si vede altrove?
«I reality mistificano, mostrano processi che non sono la realtà. In cucina si lavora 14 ore al giorno con una tempistica lenta non con la velocità del montaggio video. Lasciano il tempo che trovano. Ci sono fin troppe trasmissioni di cucina in tv, alcune poco professionali, ma ben vengano».

Lei parteciperebbe magari come giudice?
«Dico sempre ai cuochi di non andare in tv a fare i buffoni. Se uno ha qualche tema serio da affrontare va bene ma se è per fare degli show magari meglio evitare».

Cosa consiglia a chi vuole intraprendere il suo cammino?
«Passione perchè è un lavoro che richiede sacrifici che poi vengono ripagati col tempo».

Qual è il piatto da cui bisogna sempre partire per imparare a cucinare?
«I piatti della tradizione italiana e i piatti regionali sono la base di partenza».

In cosa invece la cucina italiana non riesce a fare lo scatto evolutivo?
«La cucina italiana non riesce a fare squadra ed è questo il grande punto debole. Se imparassimo dai francesi o da altri Paesi saremmo i primi del mondo».
 

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