Fame di Napoli e cibo di Totò
Gli chef rileggono le sue ricette

Fame di Napoli e cibo di Totò Gli chef rileggono le sue ricette
di Santa Di Salvo
Sabato 1 Aprile 2017, 13:38
3 Minuti di Lettura
La cucina francese non gli sconfinferava. Molto, molto meglio quella napoletana. Anche a costo di mangiare i maccheroni con le mani, come accade nella famosa scena di «Miseria e Nobiltà» nata dal genio di Totò il giorno in cui, si racconta, da Mimì alla Ferrovia si vide servire dal cameriere un piatto di bucatini al pomodoro senza la forchetta.
E allora, nell'anno del cinquantenario dalla morte, via ai festeggiamenti anche a tavola! Il principe de Curtis in arte Totò non è solo il talento puro della comicità mondiale, è stato anche un buongustaio (lui avrebbe schifato la parola «gourmet») di cui ancora si narrano le epiche gesta gastronomiche. Qualche anno fa, nel 2001, la figlia Liliana ha cercato di mettere insieme un libro, inaspettato e sorprendente, su Totò cuoco (non chef, mi raccomando!). Ricette di casa de Curtis raccontate ai posteri nel volume edito da Rizzoli «egato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà», battuta tratta dal film Totò contro Maciste. Piatti e facezie disseminati a piacere, ricette sì ma anche quisquilie e pinzillacchere di pura surrealtà, luogo in cui solo lui, il Sublime, sapeva abitare.
Ad avviare la festa culinaria è stata, non a caso, la famiglia Giugliano, che oltre a Mimì oggi gestisce anche a Villa D'Angelo in via Aniello Falcone.
Questa la location, giovedì, di un omaggio culturale e culinario al grande Antonio de Curtis. Cliente abituale dello storico locale alla Ferrovia, quando faceva avanspettacolo nei teatrini popolari, e ancora molti anni più tardi, con l'amico Aldo Fabrizi con cui condivideva la passione per la pasta anche se gli rimproverava di non cuocerla al dente. Amici, artisti, fans del grande artista si sono dati convegno per celebrare una presenza sempre viva nel cuore dei napoletani. Proprio per trasformare gli opposti in armonia, miseria e nobiltà, in un gioco di contrasti che si è celebrato a tavola tra i piatti della cucina di tradizione nata in un contesto popolare e la nobiltà della cucina creativa scaturita dai piatti dell'aristocrazia partenopea. Protagonisti della serata il cuoco contadino Pietro Parisi, che ha rivisitato «friarielli e salsicce», i due chef di Mimì Michele Succoia e Salvatore Giugliano, con degustazioni di finger food partenopei e pasta mista con fagioli e frutti di mare, lo stellato napoletano Gianluca D'Agostino del Veritas, con la sua insalata di seppia e piselli, Giovanni Morra di D'Angelo con l'amatissimo (da Totò) piatto di baccalà al vapore con pomodoro olive e capperi.
L'abbinamento tra Totò e la cucina non è casuale. Forse anche nel ricordo della dura e lunga gavetta in cui l'attore aveva letteralmente patito la fame (anche se nel caso dell'ossobuco preferiva il buco, perché l'osso non lo digeriva).
Nel quadernetto nero conservato religiosamente dalla figlia Liliana, Totò aveva annotato le ricette semplici, di tradizione, che gli piacevano di più. Spesso improvvisate, come le sue gag irresistibili. A chi non torna in mente la scena di «Totò, Peppino e la malafemmina» quando i due fratelli Caponi giunti in albergo a Milano tirano fuori dalla valigia ogni ben di Dio: salami, galline, caciotte, spaghetti Gli aneddoti legati al cibo si sprecano, ma certamente significativo è quello che vede come coprotagonista Eduardo De Filippo. Entrambi agli inizi della carriera, entrambi affamati, si ritrovarono a dare la caccia a un piccione in libertà. Lo catturarono, lo fecero cucinare in una locanda, dopo un paio di bocconi s'intristirono e piansero insieme la dura sorte del volatile. Eduardo, da gran filosofo, commentò comunque che ne valeva la pena, cu a famme ca tenimmo. E Totò lo ringraziò perché, da saggio, gli aveva fatto capire che la fame giustifica i mezzi... e tu lassa sta' a parte mia d'o piccione!.
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