Gennaro Nasti a Parigi: «La vera differenza è in mano ai pizzaioli»

Gennaro Nasti
Gennaro Nasti
di Francesca Pierantozzi
Lunedì 25 Gennaio 2016, 16:39
3 Minuti di Lettura

Non andate a raccontare a Gennaro Nasti che la pizza è pizza, perché lo fate arrabbiare. Questo entusiasta quarantenne di Secondigliano che oggi «officia» come pizzaiolo-chef a Parigi e che ha incominciato ad amare la pizza quando il papà (pasticcere) lo portava da Michele a Forcella, non ha paura di «guardare al futuro», non si arrende al dogma unico delle farine 00 o della cottura a legna, ma osa impasti con canapa, zucca o farina d'arso, e sfida chiunque a fare meglio di lui con lo scugnizzo, il forno elettrico «d'avanguardia» che definisce «straordinario».

«Resto con i piedi a terra, e i piedi a terra sono l'impasto, con la stesura a mano – dice – Ma la testa è al futuro». E il futuro è tutto quello che «sta sopra» all'impasto: praticamente tutto. Prima di fermarsi a Parigi (adesso è alla pizzeria La Famiglia di Rebellato, in rue Berger, alle Halles) Gennaro ha girato per il mondo: Barcellona e poi gli Stati Uniti. Napoli è casa, ma per un pizzaiolo creativo e baldanzoso come lui, una casa un po' piccola.

A Napoli noi pizzaioli siamo un luogo comune – dice – Invece all'estero siamo chef, e questo mi piace tantissimo. Perché per me la pizza non è solo pizza e tradizione, è un piatto a 360 gradi, un piatto che può essere di carne, di pesce, che accetta ingredienti d'avanguardia. Adesso per esempio, sto provando una puttanesca con una polvere di capperi…».

Per Gennaro, non c'è steccato tradizionale o frontiera che tenga, basta, beninteso, che la qualità resti al massimo. Negli Stati Uniti (ha lavorato a Seattle, Portland, New York, Miami, Beverly Hills e Chicago) ha imparato a osare, ma anche a difendere con eleganza la tradizione, quando necessità lo impone. Ama raccontare l'aneddoto del grande chef fusion nippo-americano venuto nel ristorante dove lavorava a Chicago. Ordinò una «classica» San Marzano con bufala, e poi un cappuccino. «Andai al tavolo e gli dissi: se prendi il cappuccino, la mia pizza non la puoi mangiare. Accettò la mia proposta di sostituire il cappuccino con un Aglianico Mastroberardino. E siamo diventati amici».

agli amici, «molti sono stelle Michelin», Gennaro dice di aver imparato molto. Dagli chef, ma anche dai pizzaioli dell'infanzia, quando se ne stava ore a guardare quelli che stendevano e poi quell'impasto che cresceva nel forno. E molto ha imparato da solo, sui libri: studiando chimica, la composizione delle farine, le leggi della panificazione. «Ho avuto bisogno di capire quello che facevo», racconta.

Si capisce subito che Gennaro ama sperimentare, e magari anche sorprendere: «la tradizione non deve essere una prigione. E pazienza se a Napoli mi considerano uno ‘strano': io sono per l'innovazione, mi piace dimostrare che anche noi pizzaioli siamo capaci di fare cose nuove». Per i parigini ha inventato una Napoli-Parigi che è già un classico: San Marzano alla brace, foie gras e spuma di mozzarella di bufala. Una delizia, che esce dal suo forno a gas. Perché per Gennaro nemmeno il forno a legna è indispensabile.

Ha dovuto fare di necessità virtù, visto che a Parigi i forni a legna ormai sono vietati nei ristoranti di nuova costruzione. «Dovevamo rinunciare? Nemmeno per sogno. Ho imparato a fare impasti adatti ai diversi tipi di forno. È qui che si vede la bravura del pizzaiolo». Per Gennaro, gli «ortodossi» del forno a legna sbagliano: «voglio vedere, se nascondiamo i forni, chi sa distinguere se una mia pizza è cotta in un forno a legna o no. La vera differenza non la fa il forno, la fa il pizzaiolo».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA