Tecnologie, in Italia c’è lavoro
ma pochi sono in grado di farlo

Tecnologie, in Italia c’è lavoro ma pochi sono in grado di farlo
di Antonio Pescapè*
Sabato 25 Febbraio 2017, 08:57 - Ultimo agg. 09:07
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È da mesi ormai che quasi quotidianamente - tra posta elettronica, messaggi e post sui social o WhatsApp - ricevo diverse richieste di laureandi e laureati nel settore dell’Informazione. E la stessa cosa accade ad altri colleghi di altre discipline i quali mi raccontano di ricevere richieste analoghe. Il titolo, lo so, è provocatorio. E so anche che l’affermazione (provocatoria, ripeto) è vera per alcuni settori e per specifiche professionalità, non possiamo applicarla a tutto il mondo del lavoro e delle professioni. Ma per molte discipline ed in particolare per quelle comprese nella vasta area che viene indicata come Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), non solo è vero ma sta diventando una delle criticità più forti per lo sviluppo delle aziende (soprattutto PMI), dell’economia e quindi del paese. 

Criticità che si acuirà sempre più e a breve, con la diffusione massiva di tutto ciò che va sotto il nome di Industry 4.0. Ed a questa criticità non sfuggono, mi verrebbe da dire nemmeno stavolta, Napoli e la Campania. Dove, come dirò alla fine, a delle criticità valide a livello mondiale, europeo ed italiano se ne aggiungono altre. 

La diffusione del digitale, l’informatizzazione spinta dei processi, lo sviluppo delle tecnologie hanno pervaso pesantemente tutte le attività economiche nonché la Pubblica Amministrazione. Immaginare oggi un processo produttivo, un servizio o una semplice attività slegata o indipendente dalle tecnologie è impossibile. E questo non è solo vero per le tecnologie ICT (Information and Communication Technologies): non c’è quasi più nulla che, come cittadini e nelle attività che ci vedono impegnati ogni giorno, non facciamo usando la tecnologia o che è prodotto dalla tecnologia; non c’è quasi più nulla che in azienda oggi si fa senza ricorrere alla tecnologia. Tecnologia che va progettata, prodotta, ma soprattutto gestita, utilizzata ed applicata. Ed è per questo motivo che io continuo a ricevere richieste di profili a cui non riesco a fornire risposte positive e che noi tutti leggiamo del fenomeno dello «skill shortage» (letteralmente carenza di abilità): le aziende vorrebbero assumere specialisti ma non trovano sul mercato profili ben specifici nelle aree di riferimento. 

Di dati relativi allo skill shortage ne esistono molti e sebbene numericamente in valore assoluto possono essere differenti, tutti concordano con i trend generali. Il progetto Skills Panorama del Direttorato Generale per Employment, Social Affairs and Inclusion della Commissione Europea e realizzato dal Cedefop (European Centre for the Development of Vocational Training), utilizzando i dati prodotti da analisi svolte a livello nazionale da organismi accreditati, fornisce un panorama sullo stato del mercato del lavoro e dei profili professionali nei diversi paesi europei. In Italia - utilizzando tra gli altri i dati del progetto Excelsior di Unioncamere, di Isfol e di Almalaurea - si evince da Skills Panorama come per i futuri 3-4 anni è previsto un disallineamento nelle skill occupazionali, sia in termini di surplus sia in termini di shortage. 

Relativamente a quest’ultimo, per l’area Stem è previsto un incremento di occupazione più elevato del 3% rispetto alla media nazionale e nel contempo si prevede uno skill shortage principalmente legato a: insufficienza di profili da scuole tecniche professionali, eterogeneità della qualità dei programmi di studio in ingegneria tra le diverse università sul territorio nazionale, scarse aspettative salariali (di posizioni scientifiche e tecnologiche in Italia) comparate sia alla lunghezza ed alla difficoltà del percorso di studi sia a quella di percorsi di studi differenti (ad esempio economia). 

Per quanto riguarda le occupazioni relative al mondo della salute, nel periodo 2015-2020 è previsto un incremento di circa il 2% per anno (con una media nazionale che decresce dell’1% all’anno). Tale incremento è dovuto sostanzialmente all’incremento dell’invecchiamento della popolazione e al turnover dello staff sanitario. 
Per il settore Ict, sta crescendo la richiesta di profili con elevate skill sia nel settore dei servizi sia in quello manifatturiero ed è previsto un incremento, nel periodo 2015-2020, del 2% per anno. Nel settore Ict i profili maggiormente richiesti saranno quelli legati all’analisi dei big data, alla sicurezza, alla progettazione e allo sviluppo software (per i quali, secondo i dati Unioncamere, il 38% delle aziende ha grosse difficoltà ad assumere questi profili), ed alla elettronica ed elettrotecnica visto, come anticipato, lo sviluppo dell’automazione industriale nell’ambito di Industry 4.0 (sempre secondo i dati Unioncamere, il 43% delle aziende ha dichiarato di avere grosse difficoltà ad assumere profili in queste aree). Lo skill shortage in questo settore è dovuto sostanzialmente all’insufficiente numero di laureati legato sia ad una domanda da parte delle aziende crescente e nel contempo molto dinamica in quanto associata all’evoluzione molto rapida dei processi aziendali nell’ambito manifatturiero ed in quello dei servizi sia legata, anche in questo caso, alle aspettative salariali comparate alla difficoltà del percorso di studi.

Quanto descritto sinora per l’Italia è sostanzialmente quanto sta accadendo in Europa e nel mondo. In Francia, Germania, Olanda, ed Irlanda la situazione è simile e - secondo quanto dichiarato da Oecd (Organisation for Economic Cooperation and Development) per il 2016 - nell’intera Unione Europea il 41% delle aziende alla ricerca di profili specialistici dell’ICT ha grosse difficoltà nel ricoprire le posizioni aperte. In USA, Messico e Sudafrica si sperimentano le stesse criticità. Se pensiamo al tema della sicurezza, secondo Mark van Zadelhoff, direttore generale di IBM Security, servono a livello mondiale almeno un milione di esperti di cybersecurity, ed in questo settore nel 2016 solo negli Stati Uniti sono rimasti vacanti 200 mila posti di lavoro.

Tornando all’Italia, quanto qui descritto si traduce - come indicato sempre da Unioncamere - nella difficoltà di reperimento da parte delle aziende nel primo trimestre del 2017 di profili qualificati, che dal 17% del 2016 sono oggi del 22%: un’assunzione su 5 tra quelle che le aziende hanno in programma nel primo trimestre 2017 potrà comportare difficoltà. E come riporta Unioncamere «le maggiori difficoltà di reperimento riguardano le professioni specialistiche (40%), quelle tecniche (quasi il 30% del totale) e gli operai specializzati (25%). Al top di questa graduatoria si trovano gli ingegneri, architetti e figure assimilate, difficili da reperire nel 56% dei casi. Seguono i dirigenti (53%), gli specialisti in scienze fisiche e naturali (49%), gli specialisti della salute (46%) e gli specialisti in scienze economiche e gestionali di impresa (41%)». 

I numeri a livello nazionale sono spinti dalle regioni del Nord, in particolare Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto mentre agli ultimi posti si posizionano cinque regioni meridionali: Puglia, Sardegna, Molise, Sicilia e la nostra Campania. Ciò significa solo che i numeri assoluti sono più bassi rispetto al dato nazionale, non che il fenomeno dello skill shortage non sia presente anche in Campania. Fenomeno che qui da noi assume ulteriori contorni e significati. 

Ci troviamo, infatti, in un territorio in cui la percezione della qualità della vita e dei servizi è spesso più bassa di quella di altre zone del paese. Così come le retribuzioni medie. Ci troviamo in un territorio in cui il tessuto economico e di imprese non è quello del Nord del paese. Tutto ciò fa sì che alle cause dello skill shortage descritte in precedenza se ne aggiungono delle altre. Che portano i nostri giovani a lasciare i territori in cui sono cresciuti ed hanno studiato per spostarsi in un ambiente lavorativo e di vita di maggiore qualità. Siamo diventati, nel Sud e in Campania, tra i principali esportatori di materia grigia, di competenze e di professionalità. Investimenti economici che finiscono per andare poi ad arricchire ed alimentare economie e territori diverso dal nostro. Sia chiaro, io credo in un mondo, e quindi in un mercato del lavoro, senza barriere e confini. Trovo assolutamente normale e positivo uscire dalla propria “comfort zone”, spostarsi e vivere la propria vita lavorativa ed affettiva lì dove si sceglie di andare e non dove si è nati. Ma lo trovo normale quando ciò è frutto di una libera scelta e non l’unica possibilità per vedere affermate competenza e legittime aspirazioni. E lo trovo normale quando la fisiologica “emigrazione” delle competenze e delle persone è controbilanciata da un’adeguata produzione di profili e da un’iniezione di competenze dall’esterno, garantendo standard professionali di qualità all’intero tessuto economico e sociale.

Ma su questo punto, così come non siamo in grado di mantenere qui molti dei nostri giovani, non siamo ancora in grado - per le stesse ragioni che spingono i nostri ad andare via (qualità della vita, opportunità e retribuzioni) - di attirare nuove risorse. Qualcosa si sta facendo negli ultimi tempi. Le Università stanno facendo la loro parte lavorando maggiormente sia sull’internazionalizzazione sia su una maggiore interazione ed integrazione con le aziende. E stanno rivedendo e ammodernando la propria offerta formativa, soprattutto nelle Lauree Magistrali e nei Master. Non a caso le ultime immatricolazioni alla Federico II hanno visto un +5% (rispetto ad un trend negativo degli ultimi anni del paese e del Sud in particolare) con punte di quasi +10% per le aree scientifiche afferenti alla Scuola Politecnica e delle Scienze di Base. Diverse aziende multinazionali stanno guardando a Napoli e alla Campania come al territorio nel quale investire nella nuova economia della conoscenza. Lo skill shortage si combatte anche così. Investendo sulla formazione, sulle imprese ma anche sui servizi. Investendo su infrastrutture materiali e immateriali adeguate ad un contesto innovativo, aperto ed internazionale. 

La strada è questa. Andiamo tutti insieme a riempire questo skill shortage. Non fosse altro per ridurre il numero di messaggi che ricevo ogni giorno.

*Università degli Studi di Napoli Federico II
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