Baban: «L’alta formazione è l’arma segreta di Napoli»

Baban: «L’alta formazione è l’arma segreta di Napoli»
di Nando Santonastaso
Lunedì 27 Febbraio 2017, 10:19 - Ultimo agg. 1 Marzo, 15:57
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Non è stata una scelta casuale quella di Napoli per la «due giorni» su sviluppo e innovazione che coincide con l’inizio delle celebrazioni del centenario dell’Unione industriali. È stata la Piccola industria a decidere in tal senso perché, spiega il presidente Alberto Baban che è anche vice presidente di Confindustria, «quando parliamo di quarta rivoluzione industriale ci sono due cose da capire: la prima è che l’idea nuova di approccio tecnologico al mercato è una forte rivincita delle periferie. Siccome abbiamo considerato il Centro sud in ritardo cronico rispetto al Centro nord, questo forte aumento di capacità competitiva che coinvolgerà ogni parte del Paese acquista per Napoli e i napoletani il valore di una sfida, la città diventa il simbolo di un’idea innovativa di riscatto».

E la seconda? 
«Siccome parliamo di rivoluzione industriale, io ricordo che la prima, quella del vapore e delle ferrovie, ha avuto protagonista Napoli. Poi sappiamo com’è andata la storia, ma essere a cavallo di un altro inizio potrebbe produrre lo stesso risultato. Cosa c’è di meno, in fondo, rispetto ad allora? Non credo che il gap di oggi sia incolmabile, basta dare uno sguardo al futuro per raccontare già adesso un ecosistema che funziona. L’investimento di Apple a Napoli lo dimostra. Forse dobbiamo smetterla di nasconderci dietro alcuni stereotipi». 
Esistono ancora, secondo lei? 
«Siamo abituati a leggere statistiche spesso disarmanti. Il 4.0 è il mercato del consumatore e dell’evoluzione produttiva: il gioco vale per tutti perché la connessione, la capacità di utilizzare i mezzi tecnologici, le macchine che interagiscono tra di loro e la costante esigenza di autoapprendimento hanno cambiato la dimensione della logica di posizionamento. Basta con alibi e scuse: il problema di una forte disoccupazione e di marcate differenze sociali nel Sud non può impedirci di raccontare quello che sta succedendo a una velocità enorme di cui anche il Mezzogiorno ha bisogno».
Della serie: non c’è più tempo da perdere, dunque?
«Assolutamente. La quarta rivoluzione industriale è già in profumo di aspettare la quinta. Negli ultimi due anni tutti i dati che girano sulla rete appartengono al 90 per cento a quello che è stato generato dalla storia moderna. Questa idea dello sviluppo esponenziale fa anche capire che la velocità non ti consente di aspettare e vedere cosa succede. Il treno passa adesso, o ci sei sopra o vieni travolto».
Come si accompagna la competizione, specie in aree in ritardo come il Sud?
«Ci sono due sistemi per misurare la competizione: i liberi mercati e l’appoggio delle politiche governative. In questi momento il Sud ha a disposizione il piano Industria 4.0, l’incentivazione per i crediti d’imposta, i fondi strutturali: non c’è mai satta tanta potenza di fuoco. Dobbiamo allora capire quanto sia importante il libero mercato, che va spiegato in ogni suo dettaglio. Se non siamo capaci di interpretare questa esigenza non andiamo da nessuna parte».
C’è però il rischio di accrescere, almeno in una fase iniziale, le file della disoccupazione meridionale perché tagliata fuori dai processi dell’innovazione. Condivide questo allarme o è solo pessimismo?
«La disoccupazione c’è: ma qui l’argomento è uno solo, come creare occupazione a valore aggiunto. E qui entra in gioco la formazione: l’accademia è indispensabile per accrescere le competenze della nuova manodopera. Napoli ha un sistema strutturato di università e, dunque, tutte le carte in regola per assolvere anche a questa nuova funzione».
Non teme che l’incertezza politica possa compromettere i tempi di realizzazione di Industria 4.0?
«Questa incertezza politica appartiene all’Italia, non alla Campania: il mercato interno vive di fiducia e mai come oggi ha la necessità di certezza. Non si può vivere nel contrasto e della demolizione del pensiero altrui. Penso, al contrario, che bisogna puntare alla costruzione di proposte che possono anche essere in antitesi rispetto ad altre, ma alla fine deve vincere sempre la migliore. Abbiamo vissuto una stagione di cancellazione del passato a tutti i costi che ha generato una condizione di populismo in base alla quale qualsiasi cosa decisa a livello di elite dovrebbe essere per forza demolita. Ma questo vuol dire buttare ancora cose che funzionano, riducendo ancora di più i margini della fiducia che già adesso sono modesti. È arrivato, invece, il momento di costruire. Conosciamo i nostri difetti, dalla corruzione all’illegalità diffusa, ma è arrivato il momento di assumerci anche delle responsabilità che possano contribuire a costruire i nuovi percorsi dello sviluppo. La forza della proposta vale molto di più». 
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