Da Napoli a Toronto contro le fake:
c'è la piattaforma a prova di bufala

Da Napoli a Toronto contro le fake: c'è la piattaforma a prova di bufala
di Cristian Fuschetto
Mercoledì 21 Giugno 2017, 21:09
8 Minuti di Lettura
Secondo gli assiriologi gli Anunnaki sono le divinità celesti delle antiche popolazioni mesopotamiche, secondo gli utenti del forum “Aliens and Ufos” del seguitissimo sito “AboveTopSecret” specializzato in cospirazioni, società segrete, scandali politici, terrorismo e nuovo ordine mondiale, gli Anunnaki sono extraterrestri arrivati sulla terra attraverso “stargate”, sorta di portali interplanetari attraverso cui gli alieni indirizzano il corso dell’umanità.
“Così è se vi pare” e ognuno crede quel che vuole, per carità, del resto lo scarto tra seguaci di divinità e followers di webcommunity potrebbe essere considerato solo una questione di punti di vista. Fatto sta che oggi, a differenza di qualche migliaia di anni fa, un fulmine difficilmente potrebbe essere spiegato come un segnale di Giove, pestilenze e morbilità varie come delle punizioni divine o, magari, l’ascesa al potere di un leader politico come l’esito di indicazioni provenienti da volontà interstellari. Metodo sperimentale, massicce dosi di illuminismo e mentalità scientifica ci offrono soluzioni un po’ più convincenti. Eppure nell’era dell’intelligenza collettiva e dell’informazione ubiqua spopola come non mai la “pseudo-knowledge”, vale a dire montagne di fake news sublimate in vera conoscenza. Anche di questa apparente contraddizione parlerà Luca Iandoli, docente di Ingegneria gestionale alla Federico II, in occasione della “Social media and Society”, tra i più notevoli appuntamenti scientifici di settore, quest’anno in programma a Toronto, in Canada, dal 28 al 30 luglio. «Insieme all’informazione – spiega lo studioso federiciano – internet democratizza anche la disinformazione e facilita la proliferazione di network interessati a supportare narrazioni anche palesemente infondate purché in grado di far sentire chi le condivide parte di una comunità». 

L'invenzione della realtà tra Nietzsche e lo storytelling
Chi più chi meno, tutti abbiamo bisogno di abbracciare un punto di vista sul mondo, non foss’altro che per imbrigliarlo in una rete che ci permetta di dargli un senso. È per questo che Jonathan Gottschall ha definito l’uomo «The storytelling animal». Secondo Gottschall i sapiens vivono la totalità del proprio tempo immersi nelle storie e oggi l’esplosione delle piattaforme di comunicazione enfatizza in modo assolutamente inedito questa tendenza. «Numerosi studi in vari ambiti, psicologia cognitiva, linguistica, intelligenza artificiale, dimostrano – spiega Iandoli – che gli esseri umani utilizzano le storie come un fondamentale se non primario meccanismo di comprensione. La costruzione di storie condivise è un tratto fondante di ogni società umana, anche di quelle preistoriche. Le storie sono modi per trasmettere conoscenza da una generazione all’altra o per creare rappresentazioni condivise, come nei miti o nell’epica. I social media non fanno altro che accelerare il processo di costruzione di narrazioni per spiegare la realtà». Il problema è che attraverso i social network, oltre che a spiegarla, la realtà si finisce per inventarla. E siccome non si tratta solo di post-moderne avventure ingaggiate da teorici nietzschiani impegnati a dimostrare che «non esistono fatti ma solo interpretazioni» e che si finisce per spacciare come “fatto” anche la correlazione tra vaccini e autismo, si capisce che le cose sono terribilmente serie. Con evidenti conseguenze politiche.

Il forum "alieno" sotto la lente del ricercatore napoletano
Iandoli ha studiato, in paticolare, l’evoluzione e le strategie di sopravvivenza delle pseudo-conoscenze condivise online attraverso l’analisi del forum dedicato ad alieni della piattaforma “AboveTopSecret”. Si è soffermato sulle discussioni relative alla “Teoria dello Stargate” che per circa dieci anni hanno animato il forum per un totale di 6800 post coinvolgendo più di 1000 utenti. Ne sono venute fuori molte cose, a cominciare dal fatto che a salvarci dalla marea della disinformazione digitale non servirà a nulla puntare sulla ragionevolezza. Iandoli ha notato come ogni obiezione al forum, per quanto circostanziata e fondata su dati accertati, veniva adattata e resa compatibile a ricostruzioni di eventi basate sull’intervento di alieni attraverso “stargate”. Ogni volta cioè che a una spiegazione di fede o comunque ideologica si è opposto un argomento razionale, l’argomento razionale è stato riplasmato in funzione della tesi ideologica (dietro il mondo c’è la mano degli Anunnaki). Se la questione riguardasse solo i fan degli Ufo poco importerebbe, la cosa interessante è che la difficoltà a intavolare discussioni online fondate su argomentazioni razionali è un fenomeno molto più vasto e riguarda le stesse tecnologie che presiedono alla condivisione di conoscenza. «In piattaforme come i forum, fornire argomenti razionalmente fondati alla propria tesi ha un effetto molto limitato, conta piuttosto fornire strumenti alla tesi di fondo del gruppo, anche se assolutamente strampalati». Fatti e razionalità, scrive nel paper che presenterà a Toronto, fanno la fine dell’abuso di antibiotici su un organismo: i batteri diventano immuni e continuano a proliferare.

A ciascuno la sua "bolla" 
Come reagire? Il problema non riguarda solo gli iscritti di “Aliens and Ufos” ma riguarda tutti noi. Come ci ha spiegato Eli Parisier in “The Filter Bubble”, gli algoritmi di profilazione di news adottati da Google e da Facebook ci fanno arrivare solo le informazioni che più ci piacciono, isolandoci pian piano in tante bolle autoreferenziali. A dare fiato alla bolla sono i nostri specifici interessi, le nostre  preferenze, che pian piano tendono a fare da filtro tra noi e il mondo: ci arrivano solo opinioni di cui siamo già persuasi. È in questo senso che Parisier può affermare che le bolle tendono a una radicalizzazione: si creano delle comunità omofile unite da interessi comuni che tendono sempre di più a escludere ogni opinione contraria. Il venir meno del confronto con posizioni eterogenee innesca un processo di polarizzazione per cui si accetta anche la notizia meno verosimile purché ci piaccia pensarla come vera. Sono anche questi i meccanismi che spiegano l’inarrestabile ascesa delle fake news. «Abbiamo bisogno di incoraggiare uno storytelling di qualità e meccanismi per filtrare le storie buone da quelle cattive. Un modo per farlo è sviluppare piattaforme capaci di catturare tali narrative e di vagliare le storie alla luce di regole e format argomentativi accettabili».

Piattaforma a prova di bufala: il Deliberatorium
Una di queste piattaforme già esiste, si chiama Deliberatorium e in Italia Iandoli ne è uno dei pionieri insieme a un team di ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr) di Roma. Il Deliberatorium è una piattaforma di discussione e di condivisione di conoscenze, si differenzia dai forum perché i post degli utenti sono organizzati sulla base di una mappa argomentativa che costringe ognuno a rispettare un percorso rappresentando tema e ragioni (tema-idea-argomento). Ideato nel 2006 da Mark Klein del Center for Collective Intelligence del MIT di Boston (dove Iandoli è stato Fulbright visiting scholar) allo scopo di favorire la qualità della riflessione di gruppo su questioni complesse, il Deliberatorium è stato testato da Klein per la prima volta nel 2007 con un gruppo di studenti della Federico II coordinati da Iandoli e Giuseppe Zollo del Dipartimento di Ingegneria Gestionale su temi relativi al cambiamento climatico e il futuro dei biocarburanti. Da allora tematiche, test e procedure si sono moltiplicati e raffinati, fino ad arrivare allo studio recente effettuato in collaborazione con l’Istc del Cnr su possibili riforme della legge elettorale.

In ogni caso è emerso che la tecnologia di partecipazione influenza il merito del dibattito. «La qualità della partecipazione e dei contributi forniti dagli attivisti a iniziative di democrazia partecipata – afferma Raffaele Calabretta, ricercatore del Cnr che ha condotto insieme a Iandoli lo studio pubblicato di recente sulla rivista “New Media & Society” (seconda per impact factor nella categoria Communication) – è influenzata in modo significativo dal tipo di tecnologia online che viene impiegata per supportare il dibattito». Oltre allo stesso Klein, hanno contribuito alla ricerca anche Paolo Spada della Yale University e Ivana Quinto della Federico II.  

Miliardi di monologhi non fanno un dialogo
I forum e social network come Facebook sono piattaforme basate su logiche di tipo conversazionale:  permettono di dire cosa pensi ma non necessariamente di indicare argomentazioni a favore o di ribattere ad argomentazioni contrarie. Invece che dialoghi, può succedere di innescare interminabili e narcisistici monologhi in cui ognuno è spinto a urlare sempre più forte quel che pensa. Il Deliberatorium nasce per evitare questo effetto perché depersonalizza l’interazione.

Nelle conversazioni intavolate sui social, inoltre, la mole di informazioni tende a generare ridondanza, ognuno reitera quel pensa e si eliminano punti di vista alternativi dando vita al cosiddetto edit war. «In una piattaforma come il Deliberatorium l’interazione conversazionale è subordinata alla costruzione di una mappa del dibattito. Il compito primario degli utenti – dice Iandoli – non è di rispondere a qualcuno ma a qualcosa, e di collocare la risposta nel punto della mappa in cui questa risulta maggiormente rilevante. Le nostra analisi mostra che questo semplice cambiamento altera le dinamiche di interazione tra i partecipanti». Si tratta di una piattaforma che tende a favorire l’approfondimento dell’oggetto della conversazione e infatti gli utenti che l’hanno utilizzata hanno prodotto più argomentazioni a sostegno delle varie proposte, pubblicato contenuti meno ridondanti e prestato maggior attenzione ai contributi forniti da altri utenti. La piattaforma, che fa capo al Mit, è liberamente disponibile per chi volesse utilizzarla per esperimenti di deliberazione collettiva (Deliberatorium), basta fare richiesta. Una piattaforma simile e del tutto aperta è DebateGraph

«La conversazione è un flusso spontaneo – conclude lo scienziato partenopeo – e oltre che impossibile sarebbe anche improduttivo pensare di incanalare questo flusso in griglie rigide. Tuttavia introdurre delle regole del discorso, almeno nei contesti di discussione e di democrazia partecipata, aiuterebbe senz’altro a razionalizzare le interazioni e ad aumentare il pensiero critico». Edgar Morin lo ha detto forse meglio di altri «Il pensiero critico costa fatica, la fatica di interrogare, di interrogarsi e di connettere» e questo vuol dire che per far fronte a un mondo complesso occorre faticare. Per questo non c’è da essere ottimisti, fake news e pseudo-knowledge continueranno a essere inevitabili come sempre lo sono state le scappatoie.
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