Shakespea re di Napoli, Cappuccio: «Ecco perché questo spettacolo è da record»

Shakespea re di Napoli, Cappuccio: «Ecco perché questo spettacolo è da record»
di Luciano Giannini
Sabato 12 Gennaio 2019, 09:32
3 Minuti di Lettura
«Mi auguro di presentare il programma del Napoli Teatro Festival Italia entro fine febbraio», anticipa il direttore Ruggero Cappuccio che, intanto, non dimentica la propria vocazione drammaturgica e registica. Al Sannazaro, da stasera a domenica, per «A volte ritornano», andrà in scena il suo «Shakespea Re di Napoli», con gli interpreti storici Claudio Di Palma e Ciro Damiano.

Cappuccio, questo spettacolo gode di un primato.
«Nella storia delle compagnie private, con i suoi 25 anni di permanenza sulle scene - senza interruzioni - è il titolo più longevo, superato soltanto da Arlecchino servitore di due padroni prodotto, però, da un teatro pubblico».

Come spiega questo successo?
«La prima ragione riguarda il rapporto attori-pubblico: quando vedi un film, sei testimone, ma non fai parte della banda. A teatro sei complice attivo di quel che accade. Qui il vitalismo erotico del racconto si apre carnalmente tra viventi e viventi, non tra viventi e mondo digitale».

E per quanto riguarda la narrazione in sé?
«Shakespea Re di Napoli è la storia di una amicizia infranta. Desiderio è un adolescente quando va a Londra, lasciando Napoli e l'amico Zoroastro, che gli fa da padre. Da lui torna circa 20 anni dopo, ma l'amicizia, stavolta, è soltanto ricostruibile. Desiderio racconta che è diventato il maggiore interprete di ruoli femminili nei drammi di Shakespeare. È stato Rosalinda, Desdemona, Ofelia... Poi la giovinezza è sfiorita; la peste, la chiusura dei teatri e altre vicissitudini lo hanno spinto a tornare. Zoroastro non gli crede. Conosce la sua antica propensione alla menzogna, ma l'altro sostiene di avere le prove. Quali? 154 fogli. Sono i Sonetti di Shakespeare. Quei versi, però, sono in una lingua che Zoroastro non comprende, senza contare che potrebbe averli scritti chiunque. I due giocano su quel che è vero e quel che è falso, evocando il genio, la bellezza, l'amore e la morte, i quattro cardini della vita. Intorno a essi ruota la vicenda, che diventa storia di innamoramenti concentrici».

Quali?
«Desiderio è innamorato del teatro; Shakespeare di lui, amato anche da Zoroastro, che gli ha fatto da padre. Ma tutto è soggetto alla morte. Innanzitutto quella della bellezza, che costringe il ragazzo a tornare a Napoli, ed evoca, tra l'altro, un'atmosfera di struggente nostalgia».

L'inserimento dei «Sonetti» merita una riflessione.
«Questo mistero della letteratura mondiale mi ha sempre affascinato. Il WH della misteriosa dedica non può essere il conte di Southampton. La nobiltà del personaggio avrebbe richiesto il nome per esteso. I Sonetti sono stati scritti per un attore e le conferme sono copiose leggendo i versi: un attore che ha attivato l'erotismo di Shakespeare».

Un aspetto centrale del suo testo è la lingua.
«Lo scrissi in settenari ed endecasillabi, e in un napoletano del Seicento ricreato da me. Perché? Anche l'inglese non termina mai per vocali, e può esprimere in breve un concetto sognante e, subito dopo, un altro più materiale. Poche lingue hanno questa capacità di sintesi».

I premi Ubu a Moscato e Borrelli. Che ne dice?
«Hanno vinto anche Afghanistan ed Ermanna Montanari con Fedeli d'amore, entrambi ospitati al Teatro Festival Sì, sono felice di quei due premi, perché il teatro di Moscato e Borrelli è fatto di lingue ancestrali che, in un'epoca stupida e globalizzata, rivendicano eternità».
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