Cantiere Plebiscito, il conto dei signornò pagato da Napoli

di Nando Santonastaso
Giovedì 6 Dicembre 2018, 08:00
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Spesso, la verità sulle strategie, anche di un governo, sta nei particolari. Soprattutto quelli che il comune buon senso suggerirebbe di valutare per ciò che sono di fronte alla portata e alle ricadute sociali di una grande opera. Troppo spesso invece diventano i protagonisti assoluti della scena, specie se maneggiati da chi predica il «fermi tutto e tutti» come fa la componente 5 Stelle del governo ogni volta che c'è di mezzo un'importante infrastruttura.

La storia delle grate di piazza del Plebiscito, bloccate ieri dal ministero dei Beni culturali dopo il ricorso di varie associazioni napoletane, è solo l'ultimo sconcertante esempio, come se già non fossero bastati gli stop al gasdotto Tap del Salento (per fortuna superato) o alla Tav tra Torino e Lione (ancora in discussione).

Perché è davvero difficile non considerare un dettaglio, seppur meritevole di ordinaria attenzione, la costruzione di una grata di appena 25 metri quadrati rispetto non solo all'enorme estensione della piazza di 25mila metri quadrati ma anche all'obiettivo generale dell'opera. Parliamo del cantiere della linea 6 della metropolitana in una città costretta a ingoiare ogni giorno gli effetti nocivi di trasporti inadeguati o inefficienti, quando funzionano. E di una soluzione tecnica, le grate appunto, che non sono un'invenzione partenopea, una sorta di «sfizio» dei progettisti.

No, si tratta della stessa tipologia d'intervento utilizzata per piazza del Duomo a Milano, o piazza San Carlo a Torino, o per Place Vendome a Parigi, e a nessuno può sfuggire il loro enorme valore culturale e paesaggistico.

Evidentemente le grate non sono uguali dappertutto anche se a realizzarle è uno dei gruppi industriali più affidabili del mondo. O più semplicemente c'è un'enorme differenza tra i dettagli e il contesto di una grande opera che nel caso di Napoli aveva messo tutti d'accordo, persino istituzioni quotidianamente in «guerra» tra di loro. Troppo importante la posta in palio per rischiare di perdere i finanziamenti europei, dilatare a dismisura i tempi, rinunciare a opportunità occupazionali strategiche per chi cerca lavoro in edilizia. È stato tutto inutile: perché con il trasferimento del cantiere a 100 metri di distanza il rischio di dire addio ai fondi strutturali di Bruxelles, che hanno scadenze di spesa ormai ferree, diventa a dir poco probabile; perché il completamento del progetto è destinato giocoforza a slittare (almeno 2 anni) senza dimenticare che non è affatto scontato il bypasse in sotterranea della Prefettura, sin dall'inizio contraria a una simile eventualità per ragioni di sicurezza; e perché infine la nuova progettazione, imposta dallo stop alle grate, rinvierà ulteriormente il ritorno al lavoro degli operai, già sospesi da settimane. Valeva la pena per 25 metri quadrati di grata?

Nessuno, sia chiaro, contesta l'importanza dell'aspetto paesaggistico richiamato dal direttore generale del Mibac nel provvedimento di stop. E nessuno come questo giornale è stato più in prima linea nel denunciare gli scempi ambientali che non solo a Napoli hanno marchiato a fuoco la storia e il patrimonio ambientale del territorio campano e meridionale. Ma questo è decisamente un caso diverso, emblematico: nel quale le pur legittime perplessità sollevate da chi teme per il futuro del basolato di una delle piazze più belle d'Italia sono andate in sposa alla visione più miope della politica. Che dovrebbe essere l'arte della mediazione tra interessi diversi ed ha finito invece per alzare l'ennesima barricata. Al buon senso, come detto, ma anche alle speranze di una città che ha affrontato da anni disagi enormi per aspettare la conclusione dei cantieri della metropolitana e che da ieri ha la certezza di doverne sopportare altri ancora. Il danno oltre la beffa, si dice così?
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